STORIE DAL CARCERE

Introduzione a STORIE DAL CARCERE
di Fabrizio Falzini
"e scale de a Rocca nun l'ho pianate mai. Mancu pe' testimone". 
Queste sono state le ultime parole che il padre di Nonna Maria - Nonno Riccardella - ha confessato al prete che era andato a trovarlo per l'estrema unzione. Vorrei partire da questa citazione dialettale per spiegare il rapporto che gli abitanti di Castelnuovo hanno con il loro passato. Se la Rocca rappresenta il simbolo di Castelnuovo di Porto (come il Colosseo rappresenta Roma, la Porta di Brandeburgo Berlino, Big Ben Londra) studiare la storia di questo Castello significa anche penetrare nell'anima del paese. Se un uomo sceglie, come estrema sintesi della sua confessione l'immagine di quelle scale è perché "pianare" (salire) quella scalinata significava andare in Carcere o in Tribunale. Nonno Riccardella voleva con quella sua frase sintetizzare tutta la sua vita, basata sui valori dell'onestà, dell'umiltà, della giustizia, del rispetto. 
Quando Antonio Riccardi mi ha invitato a leggere qualcosa nella maratona dei LETTORI VOLONTARI ho scelto di leggere un testo di Nonna Maria. E quel testo l'ho riproposto perché venga trascritto su un libro e possa essere letto anche da chi non era presente alla Maratona. 
Questa piccola introduzione al testo vuole essere di aiuto a chi è venuto a vivere solo recentemente qui a Castelnuovo e non conosce "Maria 'a Bidella" che quest'anno ha compiuto 95 anni e che rappresenta con lucidità la nostra storia, direi proprio l'anima del nostro Paese. 
Quando è morto suo marito, Nonno Salvatore Gloria, io avevo 14 anni. Frequentavo il primo liceo e andavo a studiare il pomeriggio a casa di Nonna Maria. In cucina c'era sempre il fuoco acceso e la brace poi veniva utilizzata per la bruschetta a merenda e per preparare la cena. Ripetevo a Nonna Maria quello che stavo studiando e lei mi ascoltava con amore (anche quando ripetevo in inglese, in francese o in tedesco). Lei mi ha insegnato ad ascoltare anche quello che non capisco. Mi diceva che le piaceva sentire il suono della mia voce. 
In quel periodo di scuola feci una ricerca storica. Il prof. di Filosofia e di Storia utilizzava il metodo induttivo (come il maestro Fabio). Ci chiedeva, prima di leggere il libro di storia, di ascoltare le storie dalla voce dei nostri nonni. Ascoltare la loro testimonianza. Un concetto che poi ho ritrovato nella poesia di Brecht: Fragen einses lesenden Arbeiters (Domande di un lavoratore che legge). Questa lavoratrice che ama la lettura è la risposta. Nonna Maria, come i muratori, i soldati, gli schiavi, i cuochi, ha contribuito alla Storia della nostra nazione. Nei libri di storia si parla dei re, dei papi, dei dittatori. In queste storie dal Carcere voglio raccontare la storia di chi non viene mai menzionato nei libri di storia. Mi raccontava Pietro Baldelli, che spesso mi capita di incontrare nel mio quotidiano viaggio in treno, che quando lui andava su alla Castelluzza aveva il terrore che lo chiamassero per chiedergli di andare a comprare le sigarette. 
Allora il Carcere di Castelnuovo di Porto, 'a Rocca come viene chiamata dai Casternovesi, diventa una metafora della vita. Il carcere è il nostro corpo, nel quale la nostra anima vive, come in una prigione. Come nel mito della Caverna di Platone la lettura di queste storie dal carcere dà la possibilità al lettore di uscire dalla caverna della propria fisicità per conoscere la realtà fuori dalla caverna. E allora questo corpo ci apparirà come un'ombra proiettata sulla parete. E cercheremo di liberarci per uscire da questa prigione e conoscere la vera realtà, dove non esistono più i confini di tempo e di spazio, dove i nostri cari defunti sono presenti e vivi e ci sostengono nel nostro tentativo di esprimere quello che la nostra anima nel mondo dello spirito sperimenta.

PROLOGO (Nonno e Nipotina)
NIPOTINA: Nonno mi racconti di quando avevi la mia età?
NONNO: Quando avevo 11 anni abitavo alla Rocca, perché mio padre era il guardiano, come mio Nonno. E quindi io sono cresciuto con le storie dei Carcerati.
NIPOTINA: Ma non avevi paura di abitare vicino a dei criminali?
NONNO: Paura? No, ci sono cresciuto con i carcerati e non avevo nessuna paura, anzi mi piaceva parlare con loro, ascoltare le loro storie.
NIPOTINA: Me ne racconti qualcuna?
NONNO: Volentieri, però non mi ricordo i loro nomi. E non so bene neanche le date, va bene lo stesso?
NIPOTINA: A me non interessano i nomi e le date, anche se non è vero che non te li ricordi, tu hai una memoria di ferro, sai tutta la Divina Commedia a memoria! Dici che non te li ricordi perché sai che sto registrando tutto sul mio i-phone e non vuoi compromettere i parenti di queste persone.
NONNO: Ma perché ti interessa sapere queste storie?
NIPOTINA: Devo fare una ricerca per la prof. di Storia. Ci ha chiesto di intervistare i nostri Nonni e di farci raccontare come era la vita a Castelnuovo quando avevano la nostra età. 
NONNO: Deve essere una brava professoressa, ha capito che per conoscere bene la storia dobbiamo partire dalle nostre radici. Se mi prometti di non citare i NOMI ti faccio vedere un libro che ho conservato, ci sono scritte tutte le SENTENZE del Tribunale.
NIPOTINA: Nonno! Ma non è legale! Sono documenti preziosi e riservati. Non li puoi tenere a casa, li devi consegnare in modo che siano conservati negli Archivi!
NONNO: Si, hai ragione! Ma tu ci sei mai stata nell'Archivio Comunale? Perché non vai negli Archivi a fare la tua ricerca?
Io lo conservo gelosamente da quando avevo la tua età. Lo volevo consegnare al Tribunale di Castelnuovo di Porto ma quest'anno sarà chiuso. E allora io lo dono a te. Puoi farne quello che vuoi, tenerlo o consegnarlo. Ma prima ti voglio raccontare queste STORIE, perché dietro ogni sentenza, non lo dimenticare, c'è una PERSONA, che io ho conosciuto, con cui ho parlato. 
19560316 (15 mesi, 20.000 lire) n.56/1956 640 C.P.
NONNO: Il Primo che ricordo si chiamava A*****O. Io sono nato il 4.11.1945 e lui aveva il compleanno il giorno prima di me, ma 16 anni prima. Quindi quando io avevo 11 anni lui ne aveva …
NIPOTINA 45 meno 16 fa 29. Era nato nel 1929. Quindi se tu avevi 11 anni lui nel 1956 ne aveva 16 più di te, cioè 27! E che reato aveva commesso? Aveva ucciso qualcuno?
NONNO: NO, Lui si faceva credere un inviato del Vaticano, era in possesso di una autovettura con la targa del Vaticano, Due anni prima a Fiano Romano , poi a Civitella san Paolo si faceva consegnare del denaro in prestito che però non restituiva. Diceva che gli serviva per aggiustare la macchina.
NIPOTINA E per quanto tempo è stato in carcere?
NONNO: 15 mesi e ha dovuto pagare 20.000 lire!

19560413 (8 mesi) n.56/1956 art. 341 parte prima ed ultima del CP recidiva art. 99 n. 2 del CP
NIPOTINA: Ma c'erano anche delle donne o solo uomini?
NONNO: Anche delle donne. Mi ricordo una molto bella A***E le hanno dato otto mesi perché a due Carabinieri di Ponzano Romano che la stavano portando qui al Carcere di Castelnuovo di Porto ha detto “perché hanno dei gradi questi sozzi sono tutti contro di me”.
NIPOTINA: E lei era giovane?
NONNO: Si, era bellissima avrà avuto una ventina d'anni.

19561026 (20 giorni) n.122/1956 art. 110, 624, 625 n. 2 e 62 n. 4 del CP
NIPOTINA: Ma quindi in prigione ci stavano anche per poco tempo?
NONNO: Si. A volte anche per pochi giorni. Mi ricordo due fratelli di Formello N***O e D**O anche loro avevano meno di trent'anni, che avevano rubato una pianta e quattro polli nel Comune di Sacrofano e sono stati condannati a 20 giorni.

NONNO: Mi ricordo uno di Morlupo che aveva rubato una vanga, due zappe, una roncola, una corda metallica e cinque filagne di stagno al suo vicino e è stato condannato a 30 giorni di carcere e a pagare 3.000 lire di multa.

19561221 art. 5 L 26/04/1934 500 lire di contravvenzione per aver adibito al lavoro due fanciulli minori di anni 14.

19580117 art. 570 P.P. E n. 2 CP
NIPOTINA: Ma hai conosciuto qualcuno che è andato in carcere perché è andato via da casa e non ha pagato il mantenimento per i figli?
NONNO: Si, ricordo uno di Riano, ma non mi ricordo il nome, che è stato condannato a 6 mesi di carcere e ha dovuto pagare una multa di 6.000 lire perché ha abbandonato la moglie e quattro figli minori che furono così lasciati nella più squallida indigenza.
(Il Nonno tira fuori un vecchio librone)
NIPOTINA: Ma è tutto scritto a mano? Più che un libro sembra una Smemo del Medio Evo!
NONNO: Puoi prenderlo, qui ci sono tutte le SENTENZE del Tribunale, ma ricordati che  «La lettera uccide, ma lo Spirito vivifica» (2Cor 3,6) Non puoi cadere nella tentazione di ridurre la vita di una persona ad una sentenza del tribunale. Usa la tua immaginazione per capire i motivi che hanno spinto quella persona a compiere quel reato e distingui sempre l'errore dall'errante, il reato lo puoi riportare ad un numero del codice penale, ma una persona non la puoi mai ridurre ad un numero. 
NIPOTINA: Nonno, ma tu ci credi nei fantasmi? A volte quando organizziamo un pigiama party a casa di una delle mie amiche ci raccontiamo delle storie che inventiamo, di paura. Come nell'Amleto di Shakespeare, che abbiamo letto a scuola, dove il Fantasma del Padre riappare ad Amleto e gli chiede di Vendicarlo, gli svela che è stato il fratello Claudio ad ucciderlo. Ma secondo te è possibile?
NONNO:  La nostra RAGIONE crede solo a quello che ritiene possibile, ma la nostra FEDE ci insegna che NULLA è impossibile a Dio.  « La Fede e la Ragione sono come le due ali con le quali lo spirito umano s'innalza verso la contemplazione della verità »  (Giovanni Paolo Secondo, Enciclica Fides et Ratio)
Nipotina: Nonno, ti posso leggere alcune storie che hanno scritto alcuni compagni di scuola e tu poi mi dici quale possiamo scegliere per lo spettacolo di fine anno?
NONNO: TI ASCOLTO
(A questo punto gli alunne e gli alunni che hanno scritto queste 38 storie inizieranno a leggerle)
01. Andrea 1 D, Un’ esperienza in prigione
Mi hanno arrestato per aver investito un povero vecchietto sulle strisce pedonali, con un camion di una ditta che vendeva legna da ardere. Mi avevano detto che a quell’ora lo dovevo guidare io il camion, infatti era così, ma c’era stato un cambiamento non scritto sulla lista. Mi avevano rinchiuso in un carcere chiamato “La Rocca Buia”. La cella era molto piccola, ma si affacciava sull’ Appennino: il mio sogno era uscire da lì e andarmene a vivere su una di quelle montagne. Avevo provato con tutto quello che c’era, ma le sbarre della finestra non si volevano rompere. Arrivata l’ ora del pranzo, dal mio amico appena uscito, mi è arrivato un casco di banane invece del solito pane e acqua. Ero molto contento e me le sono divorate.
Il giorno dopo un detenuto aveva provato a scappare, ma nella piazza principale lo hanno decapitato.
Dopo molti mesi ho provato a scappare e ci sono riuscito poiché era inverno e è nevicato; mi sono costruito uno slittino con della legna ammassata per cucinare in carcere e sono scivolato giù per la montagna e sono arrivato in paese. Ho trovato un telefono ho inserito il soldo e ho fatto il numero di casa mia. Ha risposto mia moglie e ha detto che mi sarebbero venuti a prendere subito. Così mi ero vendicato con il mio amico bugiardo per essere stato in carcere al posto suo. Ho anche scritto un libro per non scaldarmi più di quell’ esperienza molto brutta.
02 ELENA 1 D
Mi chiamo Papillon e finalmente sono uscito dalla prigione . Sono stato accusato ingiustamente di omicidio . mi hanno portato in Pakistan. Lì ho conosciuto un amico di nome Dagas anche lui in prigione nonostante non abbia commesso nessun reato . arrivato in prigione dopo un lungo viaggio, mi sono fatto subito una doccia fredda , anzi gelata! Dalla mia cella si vedeva l’ oceano indiano , ed era un buon modo per riuscire a scappare , ma la cosa che ci mancava era una barca funzionante . stavo ancora fissando l’oceano quando il comandante chiama, tutti i prigionieri, per presentarsi ma soprattutto per spiegarci la regola fondamentale di quella maledetta prigione . urlando dice : “ da questa prigione non dovete provare a scappare! Ma se ci riuscite noi vi troveremo e sarete condannatati a morte !
In quella prigione faceva molto caldo e per questo dei poliziotti passavano per bagnarci la testa con un secchio d’ acqua . Da mangiare ci davano di tutto e di più : dal brodo di scarafaggi alle noci di cocco . Io mangiavo tutto per rimanere in forma .
Dagas era un biologo Marino, studiava il mare e i suoi movimenti e perciò sapeva come si muoveva l’oceano Indiano . Quando ci davano da mangiare le noci di cocco , vedevo che Dagas le metteva da parte e chiedeva le bucce delle noci di cocco . Chiedeva a tutte lo persone della cella se gli potevano dare . Finalmente un giorno lui mi disse che le bucce di cocco galleggiavano sull’ acqua e perciò sarebbe stata un galleggiante perfetto l’unico momento per riuscire a scappare è quando andiamo a raccogliere le farfalle .
E così siamo riusciti a evadere e nessuno in quella prigione è sopravvissuto tranne me e il mio amico .
03 GIADA 1D
Era il 13 ottobre 2008, quel giorno mi incolparono di omicidio, non avevano alcuna prova, ma mi accusarono lo stesso e andai in prigione. Quel periodo era orribile: davano da mangiare sempre la minestra e l’acqua non bastava mai! Non sopportavo più di stare lì: il tempo non passava mai! Le torture non finivano mai! Tutto era insopportabile! Il giorno che forse era il giorno che forse era il migliore fu il 24 ottobre, perché, conobbi un uomo che era stato accusato di rapimento, con lui mi sentivo bene il suo nome era Marco, ogni giorno passato con lui in cella mi sentivo meglio, anche perché avevo un amico con cui parlare, mentre prima tutti mi prendevano in giro inventandosi soprannomi su di me. Il giorno seguente andammo in un isola per i lavori forzati, pensai che quello era la mia occasione di scappare, ma ogni volta non ci riuscivo perché le guardie mi tenevano sotto controllo. Una volta infatti un uomo provò a scappare, ma le guardie se ne accorsero e lo uccisero; anche tanti altri provarono a scappare ma non ci riuscirono mai. Alcuni venivano anche sottoposti a punizioni più gravi per aver provato a scappare, per esempio la cella di isolamento o essere bruciati vivi. In quei giorni mi feci un altro amico di nome Francesco, un giorno mi aiutò a provare a scappare, ma purtroppo andò tutto storto, le guardie se ne accorsero. Pensavo che ormai i miei giorni fossero finiti, mi misero in una cella buia, non si vedeva niente, neanche un filo di luce, dopo un po’ delle guardie aprirono la porta e mi dissero che se avessi detto chi mi aveva aiutato a scappare io sarei ritornato in cella con il mio amico Marco. Ma io non volevo tradire Francesco e quindi dissi che feci tutto da solo, ma le guardie lo sapevano che non era vero, cosi mi richiusero in cella. Ci passai quasi 4 , 5 giorni fin quando uno delle guardie non apri di nuovo e mi fecero la stessa domanda. Dopo tanti tentativi di mentire venne fuori tutta la verità, così mi riportarono nella cella insieme a Marco per fortuna! Per il mio amico Francesco invece non andò affatto bene infatti fu condannato alla pena di morte, il giorno seguente fu sottoposto a gravi torture fin quando non morì. Da quel giorno ho avuto sempre un grande senso di colpa. Un giorno decisi di progettare la mia fuga, dopo tanti giorni e notti insonni riuscii a programmarla, forse poteva funzionare. Il giorno 23 novembre 2012 ci portarono in un ‘isola , era il posto giusto per scappare, dopo pochi minuti mi addentrai in una specie di foresta insieme al mio amico Marco . Ormai non poteva più trovarci nessuno , o almeno pensavo! Continuammo ad addentrarci nella foresta fin quando non sbucammo dall’altra parte dell’isola . Allora incominciammo a nuotare per arrivare dall’altra parte del mare anche se era lunga dovevamo riuscirci, ma ad un certo punto una guardia ci trovò, e cominciò a sparare, ma per fortuna non ci prese e riuscimmo a scappare. Ormai ero libero! I miei giorni in quella cella erano finiti, era il giorno più bello della mia vita, per fortuna ero libera !
04 Ginevra 1D  UN’ESPERIENZA IN PRIGIONE
Il mio nome è Sophie e ho passato un lungo periodo in prigione.
Avevo solo ventiquattro anni e mi misi a rapinare una gioielleria. Mi ero drogata e perciò non sapevo cosa stavo facendo.
Ad un certo punto mentre correvo urtai un povero vecchietto che cercava di fermarmi ma io non gli diedi retta e con una pistola gli sparai in testa. Scappai fino a che non trovai un bosco e decisi di fermarmi lì.
Il giorno dopo uscii dal piccolo rifugio, ma subito mi furono afferrate le braccia. Ero andata nel panico e addirittura svenni mentre mi portavano in una prigione di Parigi in Francia.
Quando mi svegliai mi trovai in un luogo buio con una ragazza “ronzava” intorno cercando di capire se fossi viva o morta. Subito le chiesi come si chiamasse e lei mi disse con voce tremolante che si chiamava Beatrice. Poi ci portarono minestra fredda e acqua con scarafaggi.
Io anche se molto magra e affamata decisi di non mangiare e di non bere.
Subito feci amicizia con Beatrice e parlammo di come eravamo finite in prigione.
Dopo tre mesi io e la mia fedele compagna decidemmo di studiare una fuga.
Alla fine decidemmo che io avrei fatto la parte più difficile e Beatrice quella più facile e con poche conseguenze.
Prima di scappare decidemmo di portarci dietro un po’ di cibo: ormai ci eravamo abituate a mangiare scarafaggi e addirittura polvere.
Riempimmo le tasche ormai quasi scucite di “cibo” e cercammo di fuggire.
Il piano era questo: Beatrice avrebbe distratto le guardie dicendo che c’era un fuggitivo dall’altra parte della prigione. Mentre Beatrice parlava io sarei scappata dal cancello anteriore e la mia compagna mi avrebbe raggiunto. Dopo di che ci saremmo avvisati nella piccola radura di legno della prigione e avremmo costruito una barca, cosa che la mia compagna era bravissima a fare.
Riuscimmo subito a scappare e io e Beatrice vivemmo una lunga e bella vita in Italia.
05 Isotta 1D 
Finalmente sono uscito da quella orrenda prigione buia! Ma come ci sono entrato? Mi hanno accusato di aver ucciso un uomo  Simon Ramon (una persona qualunque) che però avevo assassinato veramente e non per casualità. Mi hanno portato nella prigione della città , “Era un omicidio premeditato”. Nella cella, in mia compagnia c’era un uomo di nome Cristofer Dimon, molto simpatico, ma allo stesso tempo pericoloso, aveva commesso un crimine più grave del mio. Ci hanno condotto su una barca malandata per raggiungere come prima tappa il Madacascar. Avremmo dovuto cercare degli oggetti  molto rari e preziosi come pepite d’oro e cose del genere di nessunissimo valore per me. Il mio obbiettivo era uscire di galera, ma non con l’evasione se no mi avrebbero ributtato dentro. Come pasti c’erano: a pranzo quel che trovavamo in giro, a cena invece un po’ di zuppa fredda con dentro, mai saputo. In quell’isola ci facevano svolgere alcuni compiti, come procurare ai poliziotti da vivere ma il lavoro più brutto era lavare i denti ai macachi perché a loro l’idea giustamente non andava a genio. Passato qualche mese ci siamo spostati in una vera e propria prigione isolata da tutto. Eravamo nelle Filippine. Il pasto si era abbassato di livello: zuppa con sempre non si sa dentro e un liquido giallastro, simile al fango da bere. Molti non erano sopravvissuti ma io fortunatamente si. Io e Cristofer, eravamo   diventati così magri  che bastava uno spiffero di vento e volavamo via! Ma l’anno era ancora lungo e le sofferenza era molta . C’è stato uno strano giorno dove nelle celle ci hanno portato un buon pasto (almeno per me) così siamo ingrassati un po'. Questi orribili 7 anni sono passati e sono uscito dalla prigione ! Sono salvo forse un po’ dimagrito , ma almeno non malato e ho  potuto scrivere questo libro (mannaggia a me che ho ucciso quel uomo!)
06 Lucrezia 1D 
La piccola fuga
Titoli dei giornali del 25-11-13: “ Strage a Roma! Donna entra in una scuola e spara!”. Quel giorno mi trovavo proprio a Roma, precisamente in Via prati, vicino ad una scuola. Stavo passeggiando accanto a quella scuola, quando all’ improvviso sentii sparare colpi di mitragliatrice. Ero molto spaventata e con le gambe tremolanti andai verso la mia automobile! Dopo due minuti esatti mi ritrovai davanti alla porta della mia casa. Passate un paio di ore, già alla televisione si parlava della strage e subito dopo la mia porta iniziò a tremare: c’era qualcuno che bussava! Andai ad aprire e vidi due poliziotti che iniziarono ad avvicinarsi e mi presero per le braccia e cominciarono a tirarmi. Mi facevano così male che non riuscivo a chiedere aiuto. Mi buttarono dentro ad una macchina e iniziai a capire. Mi stavano portando in prigione, dove ci facevano fare dei lavori forzati!
Appena scesi dalla macchina mi diedero la divisa del carcere e uno dei due poliziotti mi chiese: “ Perché hai sparato in quella scuola, c’era anche mia figlia, che adesso è morta per colpa tua!”. Capii che mi avevano scambiata  per la vera assassina, perché le assomigliavo! Poi dopo due lunghe ore mi misero nella cella con altre donne. Dalla loro faccia sembravano molto arrabbiate con me perché ero l’ ultima arrivata e così...
  07 Margherita 1D 
 Ecco qui, questa sono io. Sono una ragazza di  venticinque anni innocua, si direbbe, e invece sono qui, in prigione ormai da quasi due anni, ma ricordo ancora benissimo quando mi hanno presa per portarmi qui. Vi starete di sicuro chiedendo cosa potrebbe mai fare per finire in prigione una ragazza studiosa di venticinque anni. Bene adesso ve lo racconto. Circa due anni fa, era il 1862, esistevano già le università e io ci volevo andare perché non trovavo giusto che solo gli uomini potevano essere istruiti, così architettai un sistema per ottenere il diritto di andare a scuola. Avrei  fatto domanda all’università fingendomi maschio. Tutto stava andando benissimo senza che nessuno sapesse niente. Era quasi la fine dell’anno e gli esami erano ormai vicini. Io mi ero stufata di fingere, così un giorno, in classe mi tolsi la parrucca e la reazione fu immediata! La professoressa chiamò subito la polizia, ma io scappai lontana, perciò non mi vollero più a scuola. Ero  una ragazza piena di risorse, così quella stessa notte raccolsi una piccola orda  di sole femmine ed entrammo a scuola, una volta lì armate di manganelli e colori distruggemmo tutto e colorammo i muri. Il giorno dopo la polizia ci rintracciò e ci portò in prigione in Francia costringendoci ai lavori forzati. Mentre ci facevano camminare verso la barca che ci portava in Francia, con vestiti grigi, cappello e un sacco pesantissimo sulla schiena. Stavamo camminando, per le strade della città, con la gente che si scansava al nostro passaggio. Appena lo individuai cercai di salutare mio marito che mi era stato dato in sposo a tredici anni. Lui era più triste di me e mi seguì, ma un poliziotto lo bloccò subito e io piangendo fui costretta a continuare a camminare. Arrivati sulla barca ci sdraiammo sul pontile per dormire. Il giorno dopo eravamo arrivati in Francia. I secondini ci consegnarono  le divise da carcerati e ci fecero una dimostrazione della ghigliottina. Dopo di che siamo andate a ristorarci e a metterci i camici. Il giorno dopo ci misero subito al lavoro, dovevamo occuparci dell’orto e delle bestie. A cena ci portarono pane e acqua. Tutti credevano che fossi una strega, e così, mi misero in isolamento senza luce e cibo per  due settimane, fortunatamente scampai la ghigliottina. Appena uscita provai una fuga che fallì e mi condannarono a cinque anni di carcere. E adesso eccomi qui in un carcere a mangiare pane e acqua. Mi hanno trasferito in un’ isola nell’oceano fuori dal mondo. Avevo già un piano per scappare, avrei studiato i movimenti delle onde, poi costruito una zattera e insieme alle mie amiche saremo scappate. Il mio piano è perfetto, non resta che metterlo in atto.
08 Francesca Brizzi 3D
                                                                         Complice in amicizia
Mi chiamo Francesca Brizzi ho 42 anni e precisamente 20 anni fa sono stata in carcere perché alcuni miei amici hanno commesso un omicidio e io ero loro complice.
Era una sera d’estate e i miei amici e io eravamo usciti, come al solito, solo che quella non era una sera come tutte le altre. Quella sera avevamo deciso di provare a fare una rapina in un bar. Eravamo quattro, due maschi e due femmine. Noi ragazze non eravamo tanto convinte, ma alla fine ci siamo lasciate trascinare dai ragazzi. Era mezzanotte quando siamo arrivati  al  bar. I ragazzi avevano le pistole, ma non avevano intenzione di uccidere nessuno. Quando poi siamo entrati abbiamo fatto spaventare le due persone che c’erano. Noi ragazze eravamo dietro di loro, ma ad un tratto abbiamo sentito un colpo. E poi un altro ancora. Erano stati i nostri amici, che per sbaglio avendo premuto il grilletto, avevano ucciso i due. La mia amica e io siamo scappate subito, impaurite, mentre da dietro i nostri due amici ci rincorrevano gridandoci che non era successo niente, e siamo riusciti a tornare a casa senza che nessuno ci seguisse. Il giorno dopo sulle prime pagine di tutti i giornali c’era scritto dell’omicidio al bar e che si cercavano i colpevoli. La mia amica e io, allarmate, abbiamo avvertito subito i nostri due amici e loro preoccupati avevano deciso di nascondersi e ci dissero di non dirlo a nessuno. Purtroppo qualche giorno dopo, trovarono i nostri amici nel loro nascondiglio. Li portarono subito in commissariato, li interrogarono, ma alla fine decisero di confessare perché ormai la polizia li aveva scoperti. La mia amica e io, non sapendo cosa fare, cioè se confessare che eravamo complici o nasconderci, alla fine decidemmo di scappare senza dire niente e nasconderci. Siamo riuscite a rimanere nascoste per circa un mese, perché quando i ragazzi avevano confessato, non avevano detto di avere delle complici per proteggerci, ma per sbaglio avevano fatto intuire ai poliziotti di avere uno o più complici. Trovarono anche noi nel nostro nascondiglio e ci portarono in commissariato. Abbiamo aspettato molto prima che ci interrogassero ma poi abbiamo raccontato alla polizia tutti i fatti di quella sera; tutto ciò che era successo; ogni singolo dettaglio. La polizia aveva deciso di darci cinque anni, mentre ai nostri amici diedero dodici anni. Prima di entrare in cella, li siamo andati a trovare. Abbiamo parlato per un po’ e ci siamo detti che questo fatto sarebbe rimasto un segreto tra di noi. I primi mesi in carcere furono duri, perché anche se ci avevano messo in cella insieme, eravamo insieme ad altre due ragazze con cui era difficile parlare e lo stesso era per i nostri due amici. All’inizio parlavamo solo noi quattro tra di noi, ma poi  i ragazzi riuscirono, dopo circa un mese a socializzare, invece noi ragazze dopo un bel po’abbiamo cominciato a conoscere altre detenute. Comunque ci sono sempre quelle ragazze che ti stanno antipatiche e a cui stai antipatica e quindi era ancora un po’ difficile farsi accettare del tutto, ma poi la situazione si è stabilizzata. Così quei cinque anni passarono. Quando arrivò il giorno in cui dovevano rilasciare la mia amica e me, siamo andate a trovare i nostri amici e ci hanno lasciato chiacchierare per molto tempo. Poco prima che ci rilasciassero abbiamo detto loro che se avevano bisogno di qualsiasi cosa, avrebbero potuto contattarci come avevano sempre fatto e noi li avremmo aiutati. Siamo uscite dal carcere, ci siamo salutate e poi ognuno è andato a casa sua; però siamo rimaste sempre in contatto. Quando i nostri amici uscirono li andammo a trovare. Erano sette anni che non li vedevamo e quindi ci fece piacere rivedere due cari amici. Li abbiamo salutati e abbiamo trascorso tutta la giornata insieme, a ridere e scherzare come facevamo una volta. Poi abbiamo passato altre giornate insieme, però dopo qualche giorno non ci sentimmo più e ognuno prese la sua strada. Ormai sono tanti anni che non li vedo e devo ammettere che mi mancano i nostri momenti passati insieme, infatti vorrei tanto rivederli per ricordare tutti gli istanti della nostra giovinezza.
09 Alice Castiello 3D
Avevo 13 anni quando sono entrata per la prima volta in un carcere minorile. Ero la più giovane dei carcerati e questo mi metteva a disagio. Ero l’unica ragazza ed appena entrai gli altri ragazzi si fiondarono sulle sbarre delle loro celle ad urlare e fare versi. Forse si erano dimenticati come era una ragazza? 
Avevo una cella piccola, tutta per me e quegli enormi ratti che sentivo passare tra i condotti dell’aria. I guardiani mi facevano svolgere le giornate da sola senza poter parlare con qualcuno. Temevano forse che quegli  “ANIMALI” dietro le sbarre tentassero di fare non so cosa?
Da quando entrai, ogni notte mi mettevo a piangere. Piangevo per qualcuno che non avrei più rivisto, piangevo per il passato che non avevo mai avuto. Piangevo per quello che avevo fatto. Dopo tre mesi decisero di farmi condividere il cortile con i ragazzi. Non pensai fosse una buona idea, ma il pensiero di rimanere da sola per altri 21 mesi mi faceva diventare matta. All’inizio non mi notarono, per fortuna, ma notai subito che qualcuno mi aveva già adocchiato. Dopo qualche secondo mi ritrovai al centro di un grande cerchio formato da questi ragazzi. Mi si avvicinò uno. Pensai che poteva essere il capo di questi “ANIMALI” e mi richiamò: “ Ah, brunetta! Questo non è posto per le signorine, quei testa di c***o che ti hanno chiuso qui dentro, hanno fatto male a lasciarti con noi.” Capii che stava parlando dei guardiani. Era un ragazzo alto e grosso di corporatura. Aveva la parlata siciliana, ma non mi faceva paura. Gli diedi la spalle e camminai verso la porta per tornare nella mia cella. «Che fai scappi? Non ti conviene. Sei fifona!» disse lui. Mi girai di scatto e con passo veloce mi avvicinai a lui fino ad arrivargli a un palmo dal naso. «Ti credi tanto forte!? Perché? Che cosa hai fatto di tanto grave da avere tutti loro ai tuoi piedi?» - « Ho ucciso! Nessuno di questi s*****i ha mai ucciso qualcuno. Hanno paura di me…. E tu che hai fatto? Hai rubato una torta!? » Dopo questa battuta tutti gli altri si sono messi a ridere. Mi guardai intorno per vedere le loro risate che tacquero appena quel colosso fece loro segno di tacere. «Pensi che io abbia paura di te? Non sei l’unico qui dentro che ha ucciso qualcuno. Si, hai capito bene. Anche io ho ucciso, ma non me ne vanto come fai tu.» Me ne andai verso l’entrata del carcere, lasciandomi dietro quei ragazzi e soprattutto quel colosso che rimase senza parole. Quella notte, prima di andare a dormire, sentii un rumore sulle sbarre della mia cella. Non credevo ai miei occhi. Il ragazzo, con cui quello stesso pomeriggio ebbi una discussione, era lì davanti a me. Mi avvicinai: “Cosa vuoi?” gli dissi. Lui rispose: “Volevo sapere come ti chiami!” – “Alice. Mi chiamo Alice.” – “Alice…… Io mi chiamo Lorenzo. Sono di Palermo.” Ci fu una breve pausa e poi mi disse: “Perché hai ucciso?” Rimasi in silenzio. Camminai verso le sbarre, presi una sedia e mi sedetti. Lui si sedette per terra ed iniziai a raccontare……
« Già da quando ero piccola la mia famiglia non mi voleva. Ero un impiccio per loro e molte volte cercarono di abbandonarmi o darmi in affido senza però riuscirci. Mio padre poi si rifiutava di mangiare al mio stesso tavolo. “Non mangio con un “ANIMALE” a tavola” diceva lui ogni volta. Cosi mia madre mi faceva alzare da tavola e mi obbligava a mangiare nella mia camera da letto. Il fine settimana poi era il peggiore. Ogni volta che dovevano andare a fare compere o a trovare i parenti, mi lasciavano a casa. Dicevano che sarei stata solo di impiccio e che ai parenti non importava se ero cresciuta, se ero in salute o se ero ancora viva. Mi menavano. Quando non eseguivo un loro ordine mi picchiavano. Ero piena di lividi e lo sono ancora adesso. Quando avevo 11 anni mio padre si ammalò e fu ricoverato. Non mi permettevano di vederlo perché era nel reparto malattie infettive e lì la povera gente aveva le malattie più strane di tutto il Policlinico. Ci rimase molto tempo e durante quel periodo io non l’ho mai visto. Un giorno gli permisero di tornare a casa, ma non riuscì a vederlo lo stesso perché mia sorella mi chiuse a chiave nella mia stanza. Durante la notte sentii un rumore. Era la porta che si apriva e vidi mia sorella che mi disse: “ Papà è morto” Non dissi niente. Lei richiuse la porta ed io iniziai a piangere sotto le coperte del mio letto. Solo il giorno dopo seppi che era morto di tumore. Ero furiosa. Anche se mi aveva sempre trattato male era pur sempre mio padre. Ma perché mi trattava così? Cosa gli avevo fatto? Nel pomeriggio mi preparai per uscire, quando sentii mia madre dire che io………
Aprii la porta e la sbattei con ferocia ed iniziai a correre. Non ero sua figlia! Non lo ero! Mio padre era un altro e lui lo aveva scoperto. Ecco perché mi odiava. Dalla rabbia sfilai fuori dalla tasca il mio coltellino svizzero ed iniziai a fare incisioni sui tronchi degli alberi quando passò un ragazzo che mi guardava in modo strano, allora mi avvicinai e sfogai su di lui tutta la mia rabbia. Non ci fu altro che sangue. Avevo ucciso. Un innocente avevo ucciso. Non c’entrava niente e l’ho ucciso. Arrivò la polizia che mi portò in questo carcere minorile e rimasi sola fino ad oggi».
Lorenzo mi porse la mano. La presi e mi disse sottovoce: “Tu sei speciale, è solo che il tuo finto padre non voleva ammetterlo”.
10 Cristofor Ciobanu 
La mia ex-ragazza.
Ho ucciso una ragazza perché non la sopportavo più; ci avevo litigato. L’ho picchiata e le è uscito il sangue dal naso e dalla bocca. Le ho rotto una mano e lei mi chiedeva di smetterla. Lei piangeva; l’avevo picchiata perché era stata con un altro ragazzo. L’ho lasciata in casa e sono andato via. Lei aveva chiamato i Carabinieri. Gli agenti le chiesero cosa avesse fatto. Sequestrarono la mazza da baseball dove c’era tanto sangue. La ragazza disse agli agenti dove abitavo.
Lei disse che abitavo a Tivoli. E’ morta qualche ora dopo in ospedale. Dopo due mesi i Carabinieri mi avevano arrestato..
Mi avevano portato in prigione e mi chiesero perchè l’avevo ammazzata. La ragazza aveva 20 anni.
Mi portarono in cella; ero con un compagno. Anche lui mi chiese cosa avessi fatto di male.
Dopo mi hanno portato in tribunale; L’avvocato mi chiese perché l’avevo uccisa ed io risposi:
” perché è andata con un altro ragazzo, ero geloso di lui e del loro rapporto”. Questa fu la risposta che diedi all’avvocato.
Mi diedero 45 anni di prigione.
Sono passati 45 anni di prigione e mi hanno rimesso in liberta’.
Ho pensato in tutti questi anni a che cosa avessi  fatto nella mia vita.
   Non avrei più fatto del male a nessuno.
 11 Rinchen Il Cielo rosso

Ci hanno preso tre giorni fa, mentre stavamo sabotando il passaggio di un treno pieno di carri armati. Il giorno prima del sabotaggio sono sceso dall’Appennino dopo gli scontri di Pescina dei Marzi sono caduti trentadue uomini, ma almeno siamo riusciti a fermare lo squadrone delle camicie nere, ci siamo dispersi verso Roma per evitare di essere presi durante i rastrellamenti. Io arrivai in via Macchiavelli (vicino via tasso) verso la mezzanotte con altri quattro compagni, ci ospitò “Mariuccia”, (nome di battaglia) era la staffetta della zona e ci fece dormire in soffitta.  L'indomani ci arrivò il messaggio che un treno pieno di armamenti, carri armati e squadre delle S.S sarebbero arrivate verso le sei di sera e in poco tempo con il capo brigata (Masaccio) organizzammo  un sabotaggio. Alle sei di sera il ”Ghirbellino ” accoltella le due camicie nere di ronda sulla ferrovia, mentre io e “Lupo Rosso” posizionavano le cariche  a bordo rotaia il treno alle sei precise saltò e quindi riuscimmo a sabotare il carico, ma l’ indomani poco dopo esserci svegliati arrivò nel cortile una camionetta delle S.S che ci portò via a colpi di calcio di fucile nella schiena urlando in tedesco. Solo dopo essere arrivato a Regina Coeli compresi che Mariuccia aveva  “cantato” in cambio di non essere rinchiusa per aver aderito al movimento di resistenza nazionale. Quando ci portarono in cella vedemmo proprio lei Mariuccia con gli occhi pesti e ferite da coltello sul petto. Quando ci vide abbassò lo sguardo ed esplose in un pianto disperato, provai pena per quella donna e avrei voluto consolarla, ma quella carogna che ci scortava in gattabuia mi mollò un calcio sullo stinco e mi piegai in due dal dolore accasciandomi per terra. Lui mi prese e mi trascinò nella mia cella insieme ai miei compagni, il Ghirbellino che era il più suscettibile dopo un paio di calci nella schiena  si arrabbiò e furioso afferrò nella morsa di ferro delle sue mani il collo della guardia strozzandola. Tentammo una fuga disperata dopo aver rubato la MC96 e l’ MP40 della guardia sparando al primo che ci si parava davanti ma proprio all’ uscita cinque camerate ci gambizzarono con una raffica raso terra; persi i sensi e mi risvegliai nella cella di Mariuccia  che mi fasciava la gamba insanguinata con ancora dentro il piombo. Dormii per due ore e fui svegliato  da una camicia nera  che mi trascinò nella camera delle torture dove non si esce senza aver confessato, mi legarono  a  una sedia nudo come un verme, mi frustarono, mi bruciarono, mi ferirono, mi strapparono le unghie, mi si iniettarono gli occhi di sangue; persi i sensi un’ altra volta e mi risvegliai e dopo una mezz’ora mi risvegliai oggi non so ancora cosa mi aspetti ma probabilmente siccome hanno capito che non posso essere utile mi fucileranno  insieme al Ghirbellino e a Lupo Rosso a cui avevano staccato tutti i denti .Per adesso spero solo che a Mariuccia riservino una fine migliore anche per il fatto che stando in cella  con lei mi accorsi che era incinta  e ha tradito solo per poter salvare suo figlio spero anche che questo conflitto finisca il più presto possibile poiché  le perdite aumentano sempre più da una e dall’altra parte. Nella mia cella c’è una finestra, dalla finestra si vede il cielo, il nostro futuro l’ unica cosa che resterà per sempre, il cielo è rosso. 
 12  Nour Hamiche, Una lettera
Ciao io sono Nour Hamiche , ti scrivo questa lettera per risponderti alle domande che mi avevi fatto prima di andare nel carcere minorile: ”Che cosa hai fatto? Per quanto dovrai restare in galera ?”
Oggi ho venticinque sono uscita di galera circa un mese fa.
Ti ricordi quando avevamo tredici anni e io ti raccontavo, a volte, di quanto odiassi mia sorella, di tutte le cavolate che mi faceva? E tu mi rispondevi  sempre che dovevo stare calma e che tanto un giorno ce ne saremmo andati da Roma per cercare una bella casa per sposarci e per avere i nostri tre figli Nadia, Giuseppe e Giuseppino e io ti urlavo che si sarebbero chiamati Theo e Giorgio . Beh ecco… ora ti racconto cosa era successo una settimana prima. Lunedì. Quando stavo per tornare a casa da scuola, come tu sai io non mi portavo mai le chiavi di casa e i soldi perché mia sorella entrava a casa sempre prima di me e lasciava la porta aperta cosi ché io potessi entrare, quel Lunedì non fu cosi quella Demone mi aveva chiuso fuori di casa per tre ore finché non sei arrivato te come al solito e mi hai pagato la pizza, non finirò mai di ringraziarti perché stavo morendo di fame.
Martedì mia sorella siccome non volevo dargli la mia felpa preferita prese un accendino, quando stavo in bagno, e diede fuoco  alla  felpa, tutti i miei libri e tutti  compiti. Quel giorno, a scuola, presi uno zero a quasi tutte le materie.
Mercoledì  quella deficiente siccome non volevo darle il mio telefono per chiamare la sua amichetta mi strappò il cellulare dalle mani mentre messaggiavo  con te, e lo buttò dalla finestra dicendo “Se io non posso parlare con la mia amica tu non puoi chattare con il tuo il ragazzo “.
Giovedì quella vacca di mia sorella cominciò a supplicarmi di darle il mio cuscino per darlo a quello schifo di un gatto per dormire io le dissi di usare il suo cuscino ma lei “ No perché  se no poi me lo graffia e ci lascia sopra i peli, quindi mi devi dare il tuo “
Io cominciai a prenderla a parolacce per più di mezz’ora. Poi dovetti andare a scuola perché se no facevo tardi. Quando tornai a  casa e entrai in camera  mia mi accorsi che mancava qualcosa di importante, il  letto ! Il mio letto! Al posto del letto c’era  solo della cenere cominciai ad urlare e chiamai mia sorella  con il solito nomignolo “Nanetta”. Arrivò mia sorella  e le chiesi dov’era il mio letto lei mi rispose” Se Mr. Pucci Pucci non può dormire sul tuo cuscino tu non puoi dormire sul tuo letto e quindi gli ho dato fuoco !”
Non ci vidi più dalla rabbia  che le diedi un pugno in faccia  che la fece svenire. Le versai sopra della benzina, che mio padre teneva nello sgabuzzino come riserva per l’auto e le diedi fuoco. Evidentemente c’era qualcun’ altro con lei, perché ho saputo che qualcuno ha fatto la spia. Per i miei è stato un duro colpo e quando sono tornata a casa per salutarli mi hanno chiuso la porta in  faccia, per loro era lei la figlia preferita in famiglia . Se mi sento in colpa? No neanche un po’ . Se potessi tornare indietro nel tempo  non cambierei niente. Non so se tu stai con un altra ma io ti amo e ti amerò per sempre .
Mi manchi
                                    Nour Hamiche
13   ANNA 
Caro diario,
tu sei la mia unica salvezza perché qua non ci sono ragazze……..ah si c'è Mary ma non è una ragazza è un travestito.
Adesso io dormo nella cella accanto alla sua.
Uffy, io non capisco perché mandano in carcere solo perché si rompe una vetrina…..ti racconto come è andata. Allora, io ho un piccolo segreto, lo conosciamo solo io e la mia migliore amica maya. ma . Tranquillo, adesso ti dico…….ogni tanto qualche "cannetta" me la faccio, ma è troppo forte non capisci più niente e ti senti libero di fare quello che hai sempre sognato di fare…. lo so che non dovrei perché alle nostre famiglie servono soldi, ma non pensare che alla fine non rimedio, qualche giro di droga lo conosco e alla fine ci ricavo!
Comunque la sera di quando mi hanno portato qui mi ero fatta tre canne e mi ero scolata una bella birretta. Con me c'era anche Maya. Quanto ci siamo divertite! Ci siamo rotolate nell'erba poi siamo andate in spiaggia e ci siamo fate il bagno con tutti i vestiti, ah si poi tornando in città abbiamo dato fuoco a una macchina ma è stato per sbaglio! Per fortuna che i poliziotti non l'hanno scoperto altrimenti me ne davano otto al posto di sette anni di carcere. Comunque dopo abbiamo visto dei vestiti stupendi! Quello che piaceva a me era in stile militare corto con una cintura alla vita e senza bretelline. Sotto ci volevo abbinare un paio di ballerine stupende che erano sempre nella vetrina: erano tutte nere con un tacchetto credo di un centimetro, invece a Maya ne piaceva uno che aveva lo stesso modello di quello che avevo adocchiato io, soltanto che il suo era rosa con la cintura nera e ci voleva abbinare le stesse ballerine che piacevano a me.  In ogni  modo li volevamo e non sapevamo come fare perché costavano troppo, i soldi non ce li avevamo e non li abbiamo tutt'ora, allora abbiamo deciso di spaccare la vetrina con dei sassi che trovammo per terra, soltanto che poi è scattato l'allarme. Maya appena ha sentito la sirena della polizia è scappata, io le sono andata dietro, ma sono inciampata, mi sono sbucciata un ginocchio e non riuscivo più a camminare, zoppicavo. Mi hanno raggiunto, mi hanno preso e mi hanno trascinato via. Pochi giorni dopo hanno preso anche Maya soltanto che l'hanno portata in un altro carcere, me l'ha scritto per posta……
Questo è quello che ho fatto per finire qui dentro poi vedrò cosa succederà, secondo me finirò per impazzire……..ora ti devo lasciare. A domani!
14   PilusoPazzia Interiore
Oggi non sono scesa neanche una volta dal letto, anche se non è il massimo della comodità: il materasso è pieno di bozzi e la mia scogliosi sta peggiorando sempre di più. Non ho una compagna di cella, perciò posso starmene tutto il tempo sdraiata senza che qualcuno mi disturbi. Qui dentro c’è assoluto silenzio. Si sente solo il rumore delle pagine che si girano. L’ultimo romanzo che ho ricevuto è il motivo del mio totale isolamento. Mi appassiona sul serio, infatti non ho dormito questa notte perché sono rimasta con la lanterna accesa tutto il tempo. Il solo altro rumore che si sente è quello delle chiavi che sbattono sulla cintura della guardia mentre passa davanti alla cella. Sembra che nessuno oggi abbia visite. Credo sia perché oggi non è possibile. Non so neanche che giorno è, ormai ho perso la cognizione del tempo.
Il romanzo che leggo parla di un tradimento, un tradimento tra due care amiche. È davvero strano: questa storia mi è fastidiosamente familiare.
Il rumore della porta mi fa sobbalzare. Spengo automaticamente la luce mentre una voce roca e profonda rimbomba nella stanza. “Hai compagnia, “kill”!”. Mi metto seduta a gambe incrociate e osservo la guardia che spinge dentro un ragazzo dai capelli scuri. Inclino la testa leggermente da un lato mentre mi fissa con occhi penetranti. “Come va la lettura?” mi chiede l’enorme guardia mentre toglie le manette al nuovo arrivato. “Sparisci “bulldozer”!” gli dico senza alzare la voce. Io e lui ci siamo dati dei soprannomi. Io lo chiamo “bulldozer”, per via della grossa pancia sporgente che mette a dura prova la sua divisa, e lui mi chiama “kill”, diminutivo di killer…..
Se ne va con un sorrisetto, sbattendo la porta di metallo. Sposto lo sguardo sul muro di fronte a me dove si è appoggiato il ragazzo. La luce che entra attraverso le sbarre gli illumina metà del corpo: i capelli neri spettinati gli ricadono sulla fronte dandogli un’aria da menefreghista, la divisa arancione lo snellisce incredibilmente, noto il tatuaggio di un teschio tra le fiamme sull’avambraccio sinistro. Sta masticando una gomma con particolare lentezza che mette in mostra i lineamenti del viso, ma la cosa da cui non riesco a staccare gli occhi è lo sguardo con cui mi studia: la luce glieli nasconde in penombra il che rende difficile individuare il suo stato d’animo. Da quanto tempo non vedevo quello sguardo….. “Alla fine…ce l’hai fatta a trovarmi” gli dico. Lui si stacca lentamente dal muro, senza togliermi gli occhi di dosso. Mi si avvicina con passo lento ma deciso per poi sedersi di fronte a me sul materasso bitorzoluto. Non è cambiato affatto. “Come puoi vedere!” la sua voce è roca, quasi impercettibile. “Ho escogitato un modo semplice, semplice per venirti a trovare”. Fa spallucce. “Spaccio”. “Ingegnoso” dico alzando un sopracciglio. “Hai notizie di lei?” chiedo indurendo il mio sguardo. Il suo invece si addolcisce: “Sì, che le manchi”. “Al diavolo!” dico con severità. “Io non sono al corrente di tutta questa faccenda. Spiegamela”. Si raddrizza per stare più comodo, in attesa che io gli risponda.
Sospiro in segno di arresa e indurisco il mio tono: “Tu non sai quanto odiavo Laura Nardi, quella vanitosa “figlia di papà” con cui andavo al liceo. Eravamo amiche per la pelle alle elementari, ma quando siamo andate alle medie ha cominciato ad odiarmi e a trattarmi come se valessi meno di zero. Poi, come se avessi una cavolo di maledizione che mi perseguitava, me la sono trovata tra i piedi pure al liceo. Ogni volta che mi incontrava in corridoio mi guardava con odio. Mi disprezzava e mi rendeva la vita impossibile, facendomi sentire una m…..! Per fortuna ho incontrato il mio angelo custode: Michela, l’unica persona con cui mi trovavo a mio agio e con cui condividevo ogni cosa”. Mi lascio scappare un sorriso. “Anche lei non sopportava Laura, la trovava un’ insopportabile “ce l’ho solo io”!” Pausa. “Avanti così per due anni: Laura che mi torturava e Michela che mi ridava pace, ma non mi ero mai accorta di quanto fossimo diverse…”.” Alzo lo sguardo su di lui. I suoi occhi si muovono sul mio viso, osservando ogni mio movimento. Continuo. “Non sopportavo più il comportamento di Laura: l’avevo affrontata un paio di volte, ma aveva avuto sempre la meglio su di me, sbattendomi spalle al muro. Non so come, ma il suo odio verso di me mi faceva impazzire. Michela mi diceva di lasciarla perdere: “Mettiti l’anima in pace, c….!” mi ha detto una volta che aveva perso la pazienza. A quel punto le ho dato uno schiaffo: la sua reazione mi aveva fatto infuriare. Da quel giorno ogni volta che si arrabbiava con me ci pensava due volte prima di sclerare. La impaurivo, glielo leggevo negli occhi. Anche a casa, ero diventata manesca, in preda ad improvvisi scatti d’ira. Quando andavo nella mia stanza spegnevo la luce e mi rannicchiavo in un angolo della camera, in penombra, ed osservavo il mio riflesso nello specchio dall’altra parte della stanza e di colpo rivivevo le orribili giornate estive della mia infanzia”.” Chiudo gli occhi, cercando di mantenere la calma. “Durante l’estate i miei genitori lavoravano, perciò trascorrevo quei tre mesi a casa di mia zia. Dio, quanto la odiavo! Ogni cosa che facevo per lei era sbagliata, sottolineava sempre qualsiasi mio difetto e rideva ogni volta che rientravo con un ginocchio sbucciato o con una mano sanguinante dicendo che ero un’incapace. Allora io correvo in camera e mi rannicchiavo in un angolo. In lacrime maledicevo mia zia, i miei genitori, la mia famiglia, il mondo intero! Non puoi neanche immaginare quanto ho goduto della sua morte. Mentre i miei genitori piangevano io sogghignavo e guardavo con occhi perfidi la bara che veniva coperta di terra.
Rivivevo quei momenti orribili come se erano proprio lì e tutto per colpa di Laura! Sentivo di volerle ancora bene perché la nostra era stata un’amicizia vera, ma allo stesso tempo questo affetto era combattuto dall’immenso odio che provavo per lei! Mi faceva sentire in colpa perché credevo di averle fatto del male, ma non sapevo come. Neanche Michela mi parlava più, troppo intimidita dal mio comportamento. La scuola andava male perché non riuscivo a concentrarmi su nessuna delle materie, così i miei genitori mi si rivoltavano contro con sfuriate mai viste e mi tenevano sveglia fino a tardi a studiare.
Odiavo la mia vita e desideravo morire più di ogni altra cosa fino a che non ho visto un film: il protagonista era uscito fuori di testa e per sfogare la rabbia prendeva un coltello e si incideva le braccia. La mia follia aveva raggiunto il limite, perciò ho cominciato a farlo anche io: il primo taglio è stato una scarica di adrenalina pazzesca e così pure il secondo! Quel dolore mi faceva capire che non ero morta e per la rabbia di non esserlo mi incidevo più forte. Ormai niente alleviava i miei incubi: Laura aveva preso il sopravvento anche di notte. Sognavo il suo sguardo d’odio, il suo ghigno perfido. Non ce la facevo più. Una delle due doveva sparire perché se non la dimenticavo rischiavo di morire.
Un giorno tornava da scuola con un altro votaccio. Non mi andava di ricevere un’altra sgridata dai miei, perciò sono andata nello studio di mio padre. Volevo mettere il compito nel cassetto così che lui lo vedesse da solo, ma appena ho aperto il cassetto mi sono bloccata, incantata da un oggetto. Ero stata pochissime volte in quello studio, ma non credevo che mio padre la nascondesse in un posto così ovvio. L’ho sfiorata: il metallo era freddo e lucente. L’ho presa con mani tremanti, stando attenta a non toccare il grilletto. Mi sono quasi messa a piangere. La risposta era tanto semplice: un colpo di pistola e tutto sarebbe finito. Ho alzato il braccio e me la sono puntata sulla tempia: un brivido mi ha percorso la schiena quando il metallo freddo è venuto a contatto con la pelle. Ho chiuso gli occhi, ma quando l’ho fatto ho rivisto tutta la mia vita come in un film ed è stato allora che ho capito: non ero io a dover morire…”.” Alzo lo sguardo su di lui e dico tremante: “era lei che non meritava più di vivere! Ma nessun piano è perfetto e il mio non lo era perché Michela era venuta da me a scusarsi e temevo che avrebbe rovinato tutto. Però io, che sentivo tanto la sua mancanza, l’ho perdonata e le ho detto che quella sera avrei risolto il nostro problema più grande. Lei ovviamente non sapeva di cosa si trattava, volevo che fosse una sorpresa…
Abbiamo aspettato Laura fuori dalla palestra dove frequentava il corso di danza. Era sola e sapevo che lo sarebbe stata per tutto il tragitto fino a casa sua. L’abbiamo seguita di nascosto fino all’ingresso di un magazzino dove tenevano il cancello sempre aperto perché ormai era abbandonato. Non sopportavo più Michela che continuava a fare domande, perciò alla fine le ho detto che volevo solo spaventare Laura. Quando siamo arrivate all’ingresso le ho ordinato di aspettarmi e sono sbucata fuori facendo spaventare Laura. L’ho spinta con una scusa dentro il cortile oscurato. Ho cominciato in modo tranquillo, parlando di quando eravamo amiche e mentre raccontavo la osservavo: la tenuta sportiva era abbondante, ma lei tremava ugualmente di freddo, guardandomi come se fossi un insegnante che sta spiegando una cosa noiosissima. Allora ho cominciato ad innervosirmi. “Ma mi stai ascoltando?” le ho chiesto. Lei ha sbuffato: “Senti, ma che diavolo vuoi da me?”. “Voglio semplicemente capire il motivo di quegli sguardi pieni di disprezzo, di quell’atteggiamento di sfida che hai continuamente nei miei confronti. Eravamo grandi amiche, perché è cambiato tutto?”. Mentre dicevo questo ho notato che Michela era uscita dal nascondiglio e si stava avvicinando. “Quando finisce questa commovente riunione?” ci ha chiesto. Laura ha guardato lei e poi me e mi ha detto: “Non avevi il coraggio di venirmi a parlare senza avere qualcuno appresso? Vuoi veramente sapere perché mi sono rifiutata di essere ancora tua amica? Beh, perché sei patetica e non hai un minimo di stile! Ormai tutti a scuola pensano che sei matta e io credo che abbiano ragione. Insomma chi è che vorrebbe te come amica!? Neanche quando eravamo amiche ti sopportavo. Solo un’altra perdente come Michela può avere l’onore di starti accanto!”. Si è girata e ha indicato Michela. Poi è scoppiata a ridere come se avesse detto la cosa più divertente del mondo, si è dovuta addirittura appoggiare al cancello di ferro. Senza volerlo ho cominciato a piangere, ma erano lacrime di rabbia quelle che mi rigavano il viso. Mi sentivo le guance in fiamme, ero invasa completamente d’odio per quella ragazza e quella risata era stata la goccia che aveva fatto traboccare il vaso. Ho infilato la mano in tasca, ho afferrato la pistola e l’ho puntata su Laura…è successo tutto in un secondo: Michela che si portava le mani sulla bocca urlante, le orecchie che mi fischiavano quando ho premuto il grilletto e l’espressione di terrore sul volto di Laura. Non ho mai provato un senso di libertà più grande di quello”.” Strizzo gli occhi e me li premo con le dita.
“Ma come hanno fatto a scoprirti? Non c’era nessuno lì” mi chiede lui.
“é proprio questo il punto!” dico con rabbia. “Dopo aver osservato il corpo inerme di Laura accasciarsi a terra ho sentito qualcosa di duro colpirmi forte la testa e sono svenuta… Quando ho riaperto gli occhi ero sdraiata a terra e un poliziotto mi stava ammanettando. Avevo un mal di testa atroce e la vista annebbiata, ma ho riconosciuto subito un’ambulanza, un’auto della polizia e Michela in lacrime che parlava con un agente. Mi hanno portato da lei che mi ha detto: “Mi dispiace! So che non volevi farlo, ma loro possono aiutarti con il tuo problema. Vedrai che starai bene!” e mi ha abbracciato piangendo. Io non capivo, così le ho chiesto: “Sei stata tu?”. Lei, tutta tranquilla: “Sì, li ho chiamati io!” e mi ha sorriso”.
Devo fare una pausa. “E pensare che l’ho fatto anche per lei! La odiava, io lo so” dico con un filo di voce. Nonostante la fermezza, però, comincio a piangere silenziosamente, non so se di tristezza o di delusione. Abbasso lo sguardo, vergognandomi della mia debolezza, ma lui mi si avvicina e mi alza il viso con le dita. Per la prima volta da quando è entrato mi rendo conto di quanto ho sentito la sua mancanza. Mi guarda con occhi dolci: “Mi sei mancata, lo sai?”. Mi bacia e io lo  ricambio. Non ho mai smesso di amarlo. “Io esco di qua fra due mesi” mi dice. “Quand’è che potrò riaverti?”. Sorrido. “Il mio indirizzo non cambia. Puoi trovarmi sempre qui”.
“Bulldozer” rientra per riportarlo in cella e io riprendo il mio romanzo. Ormai ho raggiunto il finale: un brutale omicidio fra le due ragazze. Uno strano sorriso mi si forma ai lati della bocca. 
 15   Fabio Podda Il grande colpo
Io sono  Giulio ed ho diciotto anni e questo è il quarto anno che sono in carcere a Rebibbia .
Ed è il primo anno, perché gli altri anni gli ho passati nel carcere al Malaspina  di Palermo. Prima ero a Roma ma sono stato trasferito perché ho litigato con il mio compagno di cella. Sono andato in carcere per omicidio e rapina al “ Compro oro” con il “ Masaccio” e con l’ “Anfe” e lo “Chef” che sono dei miei amici .
A noi servivano dei soldi ma tutti avevamo discusso con i nostri genitori e ci hanno cacciati da casa perché facevamo dei piccoli furti ma non siamo stati scoperti . Un giorno avevamo deciso di fare il colpaccio al “Compro oro” con Anfe lo  Chef e il Masaccio avevamo molta paura .
Avevamo deciso il giorno e l’ ora e di prendere anche uno ostaggio se eravamo in pericolo .
Era arrivato il giorno del grande colpo e allora siamo entrati e non ci eravamo accorti che dentro c’ erano dei poliziotti alla fine c’e’ stata una sparatoria e ho sparato e ho ucciso un bambino ma non volevamo fare tutto questo casino e il problema era che siamo stati subito circondati e non potevamo scappare.
Ai miei amici hanno dato solo tre anni e a  me sei anni .
Il carcere minorile di Roma non era brutto però non l’ accettavo io perché era la prima volta che ero arrestato.
Il Malaspina di Palermo non era male e mi sono trovato molto bene con i detenuti quando ho compiuto diciotto anni e sono stato trasferito un po’  mi è dispiaciuto .
A Rebibbia dove sono ora non mi trovo bene con i poliziotti ma con i miei compagni mi trovo molto bene .
16 In carcere per la prima volta  
Mi chiamo ANDREA SBORDONE e sono stato in carcere perché  ho rubato un furgone pieno di soldi circa trenta anni fa. Mi hanno scoperto e portato in carcere a Roma. Una volta arrivato in carcere mi hanno portato in cella e dentro c’era un ragazzo di nome GIACOMO, e abbiamo iniziato a raccontarci di come ci siamo finiti in questa maledettissima cella. Io gli raccontai che avevo rubato un furgone pieno di soldi e lui disse che aveva fatto saltare in aria un liceo classico con una bomba nei bagni. Io sono rimasto scioccato pensando a chissà quanti ragazzi e professori sono saltati in aria in quel momento. Poi gli chiesi perché l’ho aveva fatto e lui mi disse per solitudine e tristezza… Rimasi senza parole... Dopo un anno fummo trasferiti perché avevamo fatto a botte con Luca. Luca è un nostro vicino di cella e  fa tanto il gradasso, ma durante la notte si mette a piangere pensando alla sua famiglia. Nell’ ora libera mentre stavamo giocando a calcio,  lui ci colpisce con un pugno in faccia, allora ci siamo alzati e lo abbiamo picchiato. In quel momento arrivarono le guardie e ci separarono da lui. Il giorno dopo arrivò un secondino che ci comunicò che eravamo stati trasferiti.  Ci avevano portarono a Palermo nel carcere  “MALASPINA”,  qui tutto cambiò: le guardie erano severe con tutti e se facevamo qualcosa di sbagliato ci picchiavano. Giacomo era felice perché era tornato in Sicilia, infatti lui viveva qui con la sua famiglia quando aveva sei anni. Anche  io ero un po’ felice perché mi nonna era di origine siciliana, però c’era qualcosa che mi turbava, che solo noi siamo stati trasferiti mentre era stato lui a cominciare. All’inizio eravamo in due ad essere amici poi abbiamo conosciuto Mario e siamo diventati in tre. Ci siamo ripromessi che il quattordici Giugno ci saremo ritrovati qui.   
17 Francesco Theodoli, La mia mafia
 Sono Rocco Beccaro ex boss della mafia di Palermo. Sono finito in carcere perché uno dei miei ha tradito. Sono stato accusato di associazione a delinquere, plurice omicidio, spaccio e vari furti. Ora sono in carcere da più di venti anni e ci resterò fino alla morte nell’attesa scriverò e racconterò la mia vita nella mafia.
Tutto cominciò quando avevo solo sedici anni e mio padre era uno dei capi; cominciò a farmi partecipare alle loro attività minori come furti negozi di liquori poi quando crebbi cominciò a chiedermi di rapire persone, all’inizio mi opposi, ma poi ci presi gusto.
Perché sotto c’erano dei buoni motivi soprattutto molti soldi e  questo però mi ha fatto vivere dei traumi infantili come: veder squagliare il figlio di un uomo che non riusciva a pagare l’affitto oppure bruciare la casa di un socio con tutta la sua famiglia dentro solo perché aveva costruito su un terreno della mafia. Poi arrivò il tragico giorno dove mio padre si sparò perché disturbato mentalmente anche lui da traumi.
Anche se non lo dava a vedere. Prese il suo posto mio zio Carmine che dovette tornate dall’America. Ero tanto contento quando arrivò perché c’era di nuovo qualcuno di famiglia; non lo vedevo da dieci anni e adesso aveva la barba lunga e bianca come i capelli. Appena gli chiesi dell’America mi disse solo che gli affari non andavano bene.
Dopo qualche mese i nostri affari cominciarono ad andare male pure qua, allora decisi di parlarne con mio zio che mi disse di stare tranquillo e di non preoccuparmi però si vedeva che non era tranquillo  e nella fretta gli cadde una cartella con scritto Emilio Beccaro . L’aprii e quando lessi che mio zio aveva ordinato il suo omicidio andai fuori di me e gli piantai il tagliacarte nella schiena e morì sul colpo. Fui subito aggredito dai miei colleghi ma mi lasciarono stare quando lessero il documento. Quando arrivò il momento di scegliere il successore tutti all’unisono scelsero me. Passarono dei mesi e i nostri affari tornarono quelli di un tempo. Dopo qualche anno ci servivano soldi da mandare in America così progettammo il miglior colpo in banca; impiegammo i nostri migliori uomini. Poi arrivò il giorno del colpo. Quando uscirono dalla banca e salirono in macchina erano pieni di soldi, tutti in contanti. Quando arrivammo alla base un nostro collega uccise tutti tranne me, però mi diede un colpo alla testa e svenni. Mi risvegliai in centrale di polizia in una celletta. Chiesi spiegazioni alla guardie lui mi sputò in faccia, ma dopo mi disse che mi avevano denunciato per associazione a delinquere, vari furti, plurimo omicidio e spaccio. Al processo fui giudicato colpevole e condannato all’ergastolo e oggi sono qua.
 18  Zampieri Alessandro, LA STORIA DELLA MIA VITA 
Mi chiamo Maichol Brown ed ero un poliziotto. Ho detto ero perché sono finito in carcere anche se per la precisione sono stato scarcerato la settimana scorsa, però ormai ho ottant'anni e sono stato incarcerato quando ne avevo trentanove. Sono stato condannato all'ergastolo perché ho ucciso un uomo e ho deciso di raccontare attraverso queste pagine la mia storia. Stavo facendo il mio solito giro di controllo insieme al mio collega Jack; era il primo d'aprile e c'era sempre qualche sciocco ragazzo che faceva qualche ca***ta ma quel giorno non avevamo ancora incontrato nessuno, quando ad un tratto vedemmo spuntare dal vicolo davanti a noi un uomo col passamontagna che ci puntò contro una pistola, il mio compagno frenò e io sporsi una mano dal finestrino e sparai lui cadde a terra morto, raggiunsi il cadavere e gli tolsi il passamontagna per riconoscerlo dato che abitavamo in un piccolo paese e più o meno ci conoscevamo tutti. Ma quando vidi il suo viso paralizzato dall'orrore! Ero sconvolto, il corpo che avevo davanti era quello di un ragazzo che poteva avere al massimo sedici anni, chiamai Jack e chiesi se poteva chiamare l'ambulanza, ma ormai era troppo tardi, aveva perso troppo sangue e il corpo era già freddo e quando l'ambulanza arrivò era già morto.
In seguito furono condotte delle indagini e si scoprì che il ragazzo voleva fare uno scherzo a dei suoi amici che di lì a poco sarebbero passati di lì, ma anche se tutte le prove dimostravano che si trattava di omicidio involontario, fui lo stesso condannato all'ergastolo perché i genitori del ragazzo volevano “giustizia” e anche se io sospettavo che sotto ci fosse pure una questione di soldi, perché erano ricchi ma non potevo dargli torto, d'altronde avevo appena ucciso loro figlio.
In tutti gli anni che passai in prigione non provai mai a scappare né mi sfiorò questo pensiero, infatti il ricordo di quello che avevo fatto continuava a tornarmi alla mente insieme al rimorso. Venivo anche continuamente maltrattato dagli altri prigionieri perché ero stato un poliziotto finché le guardie non furono costrette a mettermi in una cella a parte.
Gli anni passarono e finalmente fui scarcerato. Ogni tanto vado a visitare la sua tomba e adesso finalmente mi sento perdonato.
 19  Silvia Celentano LA STORIA DI ROBERTO
Tutto iniziò molti anni fa…
Ero un ragazzo semplice, istintivo e affamato di avventura. La scuola non era ciò in cui andavo meglio, però è lì che riuscivo a stringere amicizie. Al primo anno di liceo mi trovai spaesato, non conoscevo nessuno. Dopo poche settimane dopo l’inizio dell’anno scolastico, cominciai a fare amicizia con un gruppo di ragazzi più grandi di me. Era  forte stare con loro, si rideva sempre e venivamo trattati con rispetto da tutti.  Un giorno mi proposero di unirmi al loro gruppo anche fuori scuola. Pensavo che “unirmi a loro” fosse un gesto di amicizia, ma non avevo realizzato che stavo stringendo un patto. Infatti  un giorno mi chiesero di uscire dopo cena. Più che un invito sembrava un ordine. I miei genitori non mi avrebbero mai permesso di uscire dopo il coprifuoco, tra noi si parlava poco, tornavano dal lavoro a fine giornata stanchi e nervosi . Così decisi di scappare dalla finestra a loro insaputa, tanto la sera loro si chiudevano in camera a guardare la TV, sapendo che io mi chiudevo nella mia a giocare alla Play.
Raggiunsi il punto d’incontro e lì, il ragazzo che era il “Boss” del gruppo ci ordinò di seguirlo. Lo seguimmo tutti  intimoriti. Ci fermammo davanti ad una gioielleria. Il capo tirò fuori un piede di porco e forzò l’ingresso del negozio. A quel punto realizzai in quale guaio mi stavo per cacciare. Veloci ci intrufolammo nel negozio e gli altri ragazzi iniziarono a riempirsi le tasche e gli zaini di gioielli. Io non presi niente fino a quando il capo venne da me e mi piazzò in mano una collana di rubini, ordinandomi di prendere tutto quello che trovavo in giro.
Davanti al negozio un ragazzo faceva da palo e fu lui all’improvviso a darci il segnare di fuggire.
Appena uscito intravidi nel buio una torcia e la sagoma di un essere a quattro zampe che rapidamente mentre si avvicinava diventava sempre più grande. Quando mi resi conto che si trattava di un cane feroce, portato da un poliziotto, grande come un caprone di montagna , pronto a prenderci a morsi fino alla morte con le sue lunghe zanne, iniziai a correre  e a urlare per avvertire gli altri. Allora tutti iniziarono a correre e quando seminammo il cane, ci rendemmo conto che uno di noi mancava all’appello. Tornammo indietro e osservammo la scena di uno di noi a terra, sanguinante per i morsi del cane, che veniva bloccato dal poliziotto e poi trascinato via.
Quella sera, tornato a casa, rimasi traumatizzato, ma alla fine ero in estasi. Non avevo mai provato una cosa simile e l’adrenalina era a mille. Nei giorni che seguirono cominciai a prender gusto a fare queste cose azzardate e sempre più rischiose. Oramai facevo parte di un branco.
I miei genitori con il  tempo si accorsero che ero cambiato, perché ero molto nervoso, ma con loro non aprii mai bocca. Accennai solo qualcosa a mio fratello maggiore che mi giurò di tenersi tutto per sé.
Negli anni  il mio carattere peggiorò ulteriormente, ormai non ero più un ragazzo innocente, ma ero diventato un ladro temuto da molti .
A diciassette anni abbandonai la scuola e mettevo piede in casa solo per andare a dormire.
Dopo qualche anno feci la mia prima rapina in banca, ma andò male perché i miei compagni fuggirono lasciandomi indietro e la Polizia mi beccò.
Andai in galera e, non contento di quello che avevo già fatto, mi misi a trafficare con la droga dentro al carcere. Fui scoperto anche questa volta e la mia pena aumentò. Ad un certo punto mi sentivo davvero stanco di finire sempre nei guai e iniziai a riflettere sul mio passato accorgendomi degli sbagli che avevo commesso. Oramai avevo perso tutto. Decisi quindi che era arrivata l’ora di cambiare e nel tempo sono stato premiato. Infatti dal carcere mi hanno dato la possibilità di lavorare in una falegnameria in città per mezza giornata,  finalmente mi sembrava di fare qualcosa di utile. Inoltre ho iniziato a partecipare ad un progetto di addestramento per cani che si svolgeva dentro al carcere. Ora mi occupo di un cane maremmano di nome Irma. Non pensavo che da un cane potessi ricevere così tanto affetto disinteressato.
Penso che ora la mia vita stia cambiando e cercherò con tutte le mie forze di non cadere più nel tranello di voler a tutti i costi provare sensazioni forti, proprio questo ha rovinato la mia vita.
20 SONO IN CARCERE perché.... II C Andrea Rosso Benedetta Rota Camilla Rota
Mi chiamo Laura e ho 19 anni. Andavo in una scuola in cui frequentavo cattiva gente che mi ha spinto a fare delle azioni scorrette. Passai da reati più piccoli a reati in cui potevo anche rischiare di andare in carcere. E ora mi ritrovo proprio qui, rinchiusa in queste quattro mura, senza veder luce, aspettando il giorno in cui qualcuno aprirà le sbarre dicendomi: ”SEI LIBERA, PUOI USCIRE”. Queste parole non sono mai arrivate, sto al terzo anno e sto ancora a pensare e ripensare a quello che ho fatto a quel povero vecchietto…
Era il 30 Aprile, il giorno del mio compleanno, andammo con i miei amici in una discoteca isolata. Ci divertimmo tantissimo quella notte, ma è stata anche la più brutta in quanto, a nostra insaputa, avevano messo negli alcolici da noi ordinati, delle pasticche. Verso le sei di mattina,  stavo ritornando a casa quando, a un certo punto, nel mio stato incosciente, investii un vecchietto che stava attraversando la strada . VI STARETE CHIEDENDO COME MI HANNO SCOPERTO……..A pochi metri di distanza c’era un uomo che ha visto tutto l’accaduto, chiamò subito la polizia che mi arrestò e mi portò qui dove sono ora.
21 SONO IN CARCERE perché.... II C      Gaia Capociuchi
La vita da maestro elementare era davvero difficile. C’erano molti bambini indisciplinati ed io, ogni volta, ero costretto a bacchettarli.
Ma questo non mi piaceva affatto. Nel tempo libero svolgevo piccoli lavoretti, per arrotondare il mio stipendio. Il lavoro che mi piaceva di più era raccogliere il grano e portarlo al mulino.
Era un mestiere fisicamente molto faticoso.
Un giorno ho raccolto una quantità di grano che non avevo mai raccolto prima e con l’occasione sono andato, con il mio carro trainato dai cavalli, al mulino.
Il grano l’avevo sistemato dentro grandi sacchi di iuta, ma era un peso così elevato che il carro non avrebbe mai potuto tenere.
Decisi comunque di tentare a trasportarlo, consapevole del rischio che stavo correndo.
Così durante il viaggio sentii scricchiolare le ruote del carro. Mi voltai e vidi che si stava rompendo. I sacchi stavano per cadere e pensai solo allora di aver fatto uno sbaglio.
I sacchi continuavano a cadere, io preso dalla paura scesi dal carro e iniziai a correre, mentre il carro continuava ad andare senza la mia guida.
Da lontano vidi una persona, era una ragazza di circa 15 anni che stava passeggiando con i suoi amici.
La conoscevo. Appena vidi il carro andarle contro iniziai ad urlare. Un sacco di grano le era caduto addosso e lei cadde a terra e sbatté la testa su un sasso.
Non sapevo se fuggire o soccorrerla. Avevo paura di andare in carcere perché non volevo lasciare da sola mia moglie a seguire le mie figlie e sarei stato di cattivo esempio come insegnante.
Così preso dalla paura scappai.
Uno degli amici della ragazza, un mio ex alunno, andò a denunciare il fatto al carcere di Castelnuovo.
Io abitavo proprio lì vicino. Le guardie una mattina presto, mentre io, mia moglie e le mie figlie facevamo colazione, arrivarono a casa e mi arrestarono.
Così fui costretto a passare 10 lunghi anni nel carcere della Rocca, buio e freddo.
Tutte le volte che provavo ad addormentarmi vedevo l’immagine della ragazza che chiedeva aiuto.

22 SONO IN CARCERE perché....  2C Spuntarelli Edoardo Di Sante Andrea Zuliani Leonardo Bocchini Edoardo
Era inverno, pioveva, non avevo soldi ed ero disperato per i tanti debiti da pagare. Chiesi aiuto ad un amico su come racimolare un pò di soldi facili e lui mi propose un viaggio in un Paese tropicale. Mi spiegò che si trattava di un lavoro facile: trasportare droga. Mi disse di riportarla nel Paese dove vivevo in una valigia con un doppio fondo, mi disse anche di non preoccuparmi, che tutto sarebbe andato liscio; il viaggio era compreso nell'affare e aggiunse che se riuscivo nell'impresa mi davano moltissimi soldi. Accettai subito, presi il primo aereo per la Colombia; alla dogana mi chiesero se era una gita di piacere e dissi di si. Andai in albergo per qualche giorno come un turista qualsiasi, aspettavo la chiamata dei trafficanti che arrivò appena dopo 4 giorni. Mi dissero di andare a ritirare il pacco in un piccolo villaggio fuori città, il pacco che conteneva la droga era molto grande e rimasi perplesso, mi sembrava assurdo che alla dogana nessuno se ne accorgesse, ma subito pensai ai soldi, quindi senza indugio presi quel pacco e lo portai in albergo e lo misi nel doppio fondo della valigia. La mattina seguente andai all'aereoporto per far ritorno a casa, passai la prima perquisizione senza avere problemi, ma al secondo controllo mi fecero tirare fuori tutta la roba dalla borsa, con un coltello aprirono il doppio fondo e trovarono la droga, chiamarono una volante e mi portarono nel carcere dove c'erano tanti detenuti. Mi diedero tantissime botte, insanguinato mi buttarono in una cella fredda, c'era un odore di urina, ero talmente stanco che mi addormentai subito. Il giorno seguente lo passai a letto e non riuscivo ad alzarmi, avevo dolore su tutto il corpo, aspettai il mio avvocato  d'ufficio parlai con lui e mi disse subito che non avrei riabbracciato immediatamente la mia famiglia. In quel momento mi si strinse il cuore non riuscivo più a parlare, la mente era confusa avevo molta paura. Il giorno dell'udienza mi alzai presto, non avevo chiuso occhio tutta la notte, il mio avvocato mi disse che se mi dichiaravo colpevole forse erano più clementi con me, aspettai la sentenza del giudice, mi incolparono di traffico internazionale di droga e mi diedero 6 anni di carcere. Questi 6 anni li passai malamente e furono gli anni più brutti della mia vita, trascorsi nella prigione di Bogotà. E da li ho capito che i soldi si devono fare onestamente.
23 Ferraro Giulia 10-12-13   seconda D
Ciao mi chiamo Maya Ferraro, ho 28 anni, sono nata a Roma in Italia il 23 febbraio 1970 e ho vissuto 7 anni in carcere.
Era il 23 dicembre del 1990, avevo 20 anni, il giorno prima del mio matrimonio, stavo con le mie amiche e mia madre a scegliere il vestito da sposa.
Ero così felice ed eccitata al pensiero di aver trovato l'amore, e che lì a poco lo avrei sposato. Avevo scelto un vestito lento con una cinta d'oro bianco fatto con dei piccoli fiocchi di neve, e, subito dopo la cinta, nella parte superiore del vestito, tutto pizzo... era meraviglioso!
Dopo aver comprato il vestito siamo andate, io e le mie amiche, in discoteca per l'addio al nubilato. C'erano dei miei vecchi amici di scuola e tra loro c'era anche il mio "ex".
Si chiamava Roberto, era simpatico, gentile, bello ... ma malato di sesso.
Come stavo dicendo c'era anche lui e appena entrai e lo vidi, iniziai a parlare con lui.
Ad un certo punto mi iniziò a far male la testa ed allora uscii per prendere una boccata d'aria, Roberto mi seguì a ruota.
Poco dopo, lui mi  incastrò al muro, si slacciò i pantaloni e.....non me la sento di descrivere tutti i particolari, vi dico solo che dopo un po', stremata, nel difendermi gli diedi un calcio nei testicoli...lui si scanzò...e Boooom!!!
Una delle mie amiche gli sparò in fronte e disse: " muori bas....do" ed io: "già co....ne"....... :"Stai bene ?" mi chiese .....:"Ho avuto giorni migliori..grazie di cuore" risposi.
Lei si chiamava Rebecca e fino a quel giorno non aveva mai detto parolacce.
Scappammo in tutta fretta a casa  e il giorno dopo, cioè il giorno del mio matrimonio, mentre il prete diceva: "...vi dichiaro marito e moglie, Alessio puoi baciare la sposa..." la polizia entrò ed arrestò me e Rebecca.
Fummo condannate a 7 anni di reclusione e due settimane di isolamento.
Il posto faceva schifo, più che un carcere era un manicomio, calcolando che erano per la maggior parte psicopatiche, stupratrici e condannate ad ergastoli.
Al posto del cibo davano della specie di "sbobba" e spesso si faceva a gara a chi trovava più larve nel piatto.
Non feci molte amicizie tranne una ragazza di nome Anastasia che doveva scontare 14 anni di reclusione per Mafia e qualche altro reato che ora non ricordo più.
Ricordo anche un'altra donna che chiamavano "la vedova nera", non ho mai saputo il suo vero nome, ricordo solo che era stata condannata a 17 anni per aver picchiato violentemente la madre e le figlie.
La mattina mi alzavo spesso alle otto e mezza , Rebecca invece alle otto, facevamo a gara che chi si alzava prima non puliva la stanza..... io ovviamente perdevo sempre...sono sempre stata pigra!!!
Dalle 8-30 alle 12-30 si stava in cella, dalle 12-30 alle 14-00 si lavorava, alle 14-30 si mangiava e si stava in cella fino alle 16-30, due ore d'aria, 30 minuti per lavarti e tutte in cella...cena e alle 22-30 via le luci.
Condividevo la stanza con Rebecca, Anastasia, Fiona (una ragazza nuova) e la "vedova nera".
Fiona aveva 18 anni, era stata incolpata ingiustamente di furto in un negozio di ceramiche e così condannata a 3 anni. Era simpatica, generosa e mai smorfiosa.
Dopo le 2 settimane d'isolamento fuori niente era cambiato tranne che sia io che Rebecca eravamo più magre e più "toste".
Riuscivo comunque a sentirmi più libera.
Nel frattempo mia sorella venne aggredita e molestata dal suo vicino di casa, morì per le violenze ed io in prigione sentivo il peso di non averla potuta aiutare.
….. Che possa bruciare vivo!!....
Quando uscii ,finalmente, mi sposai con Alessio, ebbi 3 figli (due femmine ed un maschio) e una vita felice. 
24 Paolantonio
Era il 1989 dovevo portare un chilo di cocaina a un uomo, mi aveva offerto 100.000 £ in contanti, ma non mi pagò, tirai fuori la mia Imm e gli sparai 3 colpi in pancia. Sua moglie senti’ gli spari e chiamò la polizia, io presi il mio coltello e gli tagliai la lingua.
Mi condannarono all’ergastolo. Il primo giorno mi limitai ad osservare gli altri detenuti, ce ne era uno, Antonio, mi sembra avesse un occhio di vetro, che stava sempre in disparte a guardare una foto della sua famiglia. Le celle erano ripugnanti, puzzavano come non so cosa, neanche lo scarico del cesso funzionava.
Mi sentivo male avrei preferito la pena di morte, ma con il passare degli anni  mi abituai.
Mi ricordo che un giorno un uomo durante l’ora d’aria ridusse in fin di vita il suo compagno di cella pensando che avesse offeso sua madre. Là in isolamento per un anno.
Il pranzo era la cosa più disgustosa che esista, i fagioli mezzi crudi, pane vecchio e muffoso, l’acqua era sporca come la me*** ! e il dolce non sapeva di niente.
Cinquant’anni dopo decisi di andarmene avevo un piano, andai in biblioteca vidi dei chiodi sporgenti da un vecchio mobile, presi i chiodi aspettai l’ora del pranzo, misi i chiodi nell’acqua e li ingoiai, andai all’ospedale, una volta operato riuscii a scappare, presi l’ultimo volo per l’America dove adesso vivo.
25  C. Mannozzi -  IID
caro diario,
dopo 18 anni finalmente questa mattina sono stato rilasciato dal carcere di Rebibbia.
Sono devastato, ormai ho 45 anni e non penso ad altro che all'esperienza vissuta in quella oscura cella. Sono finito in carcere per aver rapinato un bar con dei miei compagni. Durante il viaggio e il primo giorno in cella i miei compagni non facevano altro che piangere cosi i secondini li uccisero, solo io ero rimasto zitto.
In cella avevo un compagno di nome Franco, un ragazzo di 21 anni che aveva partecipato ad una rissa e abbiamo fatto subito amicizia perché avevamo più o meno lo stesso carattere.
La prima settimana ero sconvolto, non riuscivo ad abituarmi a quella squallida vita.
Le mie giornate passavano lentamente e mi annoiavo. La mattina io mi alzavo prima di Franco;verso le 5:30, preparavo la colazione e pulivo la mia piccola parte di cella.
Alle 7:00 Franco si alzava e i secondini passavano a controllare se tutti fossero in cella e la maggior parte delle volte Franco si presentava in pigiama (per questo veniva menato più volte).
Poi c'era un'ora d'aria la quale io scrivevo lettere o leggevo libri.
A pranzo toccava sempre a Franco cucinare, dopo c'era due ore di riposo ma io non riuscivo mai a dormire perché Franco russava molto.
Il pomeriggio alle 16:05 andavamo a giocare per un po' a basket e poi ci mettevamo subito a lavorare e se facevamo qualche passo sbagliato avevamo dietro i secondini che ci menavano.
Verso le 19:00 iniziavamo a giocare a carte io perdevo quasi sempre (sono stato sempre una frana). Verso le 20:30 cenavamo e mangiavamo solo pane e latte perché se ingrassavamo solo un po' venivamo picchiati a morte.
Verso le 22:00 spegnevano le luci, io facevo sempre la mia solita preghiera e andavo a dormire. 
Verso i sette anni di reclusione incominciai  a legare con altri amici: Giulio, Simone e Mattia, erano estroversi e uscirono tre anni prima di me.
Cosi passarono i miei giorni in carcere, per alcuni potrebbe essere stato divertente ma per me non è stato cosi e non è stato facile abituarmi ad una vita cosi.
Ora vado a dormire perché è da molto tempo che non riposo in pace.

26 Nicoletta Merciari IIIA
La storia di Luca
La mia vita qui dentro è cambiata. Ho capito di aver sbagliato ed ora aiuto i ragazzi che come me hanno utilizzato questa sostanza…la droga.
Tutto incominciò circa 25 anni fa.
Mio padre era un alcolizzato e tornava a casa sempre ubriaco. Litigava sempre con mia madre.
Ero arrivato ad una conclusione, mi ero stufato di lui.
Non poteva continuare così.
Un giorno stavo in camera mia a guardare la televisione, ad un tratto sentii delle urla provenire dalla cucina… sembravano quelle di mia madre.
Corsi in cucina e trovai mio padre che cercava di far bere anche a lei quella robaccia.
Perché doveva obbligarla? Se lei non voleva perché lui doveva farlo?
Mi diressi da lui e gli urlai contro: - Come ti permetti! Non la puoi obbligare! -
Lui mi rispose: - Levati ! Questi sono i miei affari! –
Non ci vedevo più dalla rabbia così gli mollai un pugno. Lui cadde a terra e io dissi a mia madre di fuggire e di mettersi in salvo, ma mentre glielo stavo per dire sentii un rumore forte… era la porta di casa che si era chiusa. Mio padre se ne era andato via. Rassicurai mia madre e mi affacciai alla finestra. Vidi lui che fuggiva. Aprii la finestra e gli dissi: - Non ti azzardare più a venire qui! – e con una sgommata di ruote lo vidi andare via. Finalmente ci eravamo liberati di lui. Lo credevo più un duro ma invece se l’era data a gambe.
La mattina seguente mi svegliai. Mi diressi verso la cucina e rimasi a bocca aperta!
La porta era aperta e lui era lì, mio padre era lì!
-Salve signorino! Pensavi di esserti liberato di me ma invece sono qui! - mi disse.
Io gli risposi: - Che cosa vuoi ancora? Ci devi lasciare in pace! –
Con un gesto violento fede cadere il tavolo.
Non me lo ricordavo così. È cambiato moltissimo!
-Non ti credevo così. Mi fai schifo! – gli dissi io.
Con un gesto violento si alzò, mi prese per il collo per poi sbattermi al muro.
-Non ti azzardare più! Ricordati che sono tuo padre! – disse lui.
Con quel poco di voce che avevo gli dissi: -Io non ti considero più mio padre! Prima non mi trattavi così…da quando hai incominciato a bere non ti riconosco più. –
Mi lasciò cadere a terra.
Mi ero accorto che aveva percepito quello che gli avevo detto ma dopo poco scosse la testa come per negare quello che stava pensando.
Lui mi disse: -Sono venuto qui per dirti che io vivo qui e questa è anche casa mia quindi non mi potete cacciare. Non ti azzardare a denunciarmi perché so dove trovarti. –
L’ unica cosa che potevo fare era dargli ragione.
In fondo non era tanto un problema. Non c’era mai. Era sempre con i suoi amici a bere come un matto.
Il giorno dopo, mentre tornavo da scuola, vidi dei miei amici parlare con un uomo.
Appena mi avvicinai l’uomo gridò ai miei compagni di andare via.
-Cosa vuoi? – mi disse l’uomo.
-Posso sapere cosa facevano i miei amici qui? – risposi io.
-Non sono cose che posso dire ad un ragazzino ma se mi prometti che non lo dirai a nessuno te lo posso dire! –
-Non lo dirò a nessuno. –
-Volevano provare! –
-Cosa? –
-Ma è possibile che sei così stupido da non capire? Questa! –
E mi fece vedere una busta…era della droga.
Avevo sentito quei miei amici che dicevano di stare molto meglio con la “polvere”. Ecco che cosa era quella polvere che per loro era magica! Li avevo visti con il morale più sollevato.
Decisi di provare.
-Scusi ma quanta me ne potrebbe dare? –
-Quanti soldi hai? –
Controllai nelle tasche e nello zaino. Non avevo nemmeno una moneta.
-Non ho niente con me. Posso solo darle dei soldi però la prossima volta.-
-Senti ragazzino, io non sto vendendo cose gratis. o mi dai qualche cosa o non ti do nulla.
Che cosa potevo fare? L' unica cosa era andare a casa a prendere qualche gioiello di mia madre e darlo all'uomo.
-senti, vado un' attimo a casa a prendere delle cose da darti, fra 30 minuti torno e ti porto quello che ti serve ok ?- gli dissi io.
lui mi rispose: -ok ragazzino. fai il prima possibile o io me ne vado.-
appena lui pronunciò quelle parole io partii di corsa per andare a casa a prenderei gioielli di mia madre.
Ero arrivato davanti alla porta di casa. aprii e corsi in camera di mia madre.
-tesoro che cosa cerchi?-
- vado a casa di un amico, mi ero dimenticato un gioco da portare da lui. Ciao mamma!-
-ciao!-
finalmente dopo 20 minuti ero riuscito a tornare dall'uomo.
-ci sei riuscito a tornare! stavo giusto per andare via. che mi hai portato?-
-ho preso due collane. vanno bene?-
-fammi vedere...mmm...ok ragazzino,vieni con me nella macchina che ti do quello che ti serve.
era la prima volta che provavo qualche cosa del genere, non stavo più nella pelle.
il tizio aprì il cofano della macchina. wow ! aveva quintali di quella roba!
- prendi tre pacchetti e vai via.-
presi i tre pacchetti andai in un posto nascosto, nel centro storico del mio paese.
aprii un pacco. la assaggiai...era fantastico ! non mi ero mai sentito meglio. quella roba mi faceva dimenticare tutti i problemi della mia vita.
avevo deciso che il giorno dopo ne avrei ordinata altra.
tutti i giorni andavo da Ezio ( l' uomo che vendeva la droga ). Ormai eravamo diventati amici, avevo incominciato ad entrare nel giro sporco e ero diventato uno spacciatore.
Un giorno stavo spacciando al campo sportivo, ero diventato un pezzo grosso.
Sentii un sirena. Era quella della polizia. Dovevo andarmene ma mi accorsi che tutte le uscite erano bloccate. Ero in trappola. mi avevano preso e portato in carcere.
Dovevo scontare una condanna a 10 anni. Non ce la potevo fare! 10 anni dentro ad una gabbia di matti.
10 ANNI DOPO...
ero riuscito ad uscire! finalmente! non ce la facevo più! mi mancava l' odore del mio paese. Era cambiato tutto...anche io ero cambiato. Volevo cambiare. Avevo deciso di finire con la storia della droga.
In quei 10 anni non avevo avuto notizie dei miei genitori ma pensavo che fossero a casa e che sapessero che ormai ero uscito.
Tornato davanti alla porta di casa mia, entrai. 
-Mamma ci sei?-
nessuno rispose.
Andai nella mia camera. mi accorsi che sulla scrivania c'era una lettera.
Era per me, la scrittura era quella di mia madre.
-caro figliolo, so che quando leggerai questa lettera non mi vedrai. sono su...in cielo. sappi che ti ho voluto bene anche se ho saputo che eri in carcere. sei il mio piccolo bimbo. mi mancherai.-
Cosa? mia madre era morta? Non ci potevo credere. Era la prima volta che mi sentivo un nodo nella gola. Incominciai a piangere. 
Era uno di quei pianti veri. non ci potevo credere... l' unica persona che mi voleva bene era morta.
Tutta la settimana mi chiusi in casa, non volevo più incontrare nessuno.
La mia idea di cambiare vita e di smettere di drogarmi era svanita. Dovevo ricominciare per dimenticare tutto.
Sapevo dove trovare Ezio e il "magazzino" dove andavo a rifornirmi.
Presi la bicicletta, andai a casa di Ezio.
-Ehi...guarda chi si rivede! Luca ma sei tu?-
- Si sono io, sono uscito da poco dal carcere, mi è successa una cosa brutta e quale altra cosa migliore della droga per dimenticare tutti i problemi ?-
- bravo ! vedi che ci capiamo ? senti quanta ne vuoi?-
-calcola che vorrei anche spacciarla! tutta quella che puoi.-
-vieni con me che ci mettiamo d'accordo!-
In una stanza nascosta c'era tutto quello che mi serviva.
- la prendo tutta, ti do in cambio tutti i mobili che ho in casa, poi te li vendi.-
- con te si riesce sempre a fare affari!-
Sapevo che dovevo smettere ma non potevo riuscirci,soprattutto dopo aver perso tutto, perfino mia madre.
3 MESI DOPO
avevo preso un appartamento dove veniva la gente a comprare la droga, andava tutto benissimo quando ad un certo punto squillò il telefono.
-Pronto! chi è?-
-Sono Ezio. E' venuta la polizia a casa mia e ho dovuto dire che tu sei nel giro. Scappa finché puoi.-
Erano cavoli miei... uscii dall'appartamento e corsi a casa per prendere quei pochi vestiti che avevo e fuggire.
Ma quando arrivai  mi aspettava una sorpresa. La polizia era sotto casa mia.
Avevo capito che sarei tornato in carcere.
Proprio in quel momento mi sentii svenire. Era la dose troppo forte che avevo utilizzato prima di fuggire.
Dopo poco mi risvegliai in un ospedale, vicino al mio letto c'erano due poliziotti.
-dobbiamo portarla via da qui quando lei sarà guarito.-
-perché? ora cosa ho fatto?-
-è inutile che fa finta di nulla. abbiamo scoperto che spacciava droga e visto che questa è la seconda volta che la becchiamo ora non se la caverà con poco-
era questo che non volevo accadesse, invece,con la mia ingenuità, ho continuato fino ad arrivare a questo punto.
1 SETTIMANA DOPO (LUCA HA 40 ANNI)
Sono qui.  in carcere. questa volta ce  l' ho fatta a smettere,finalmente !
Avevo la vita bella e invece con la droga mi sono rovinato. sono andato in ospedale e questa è la seconda volta che sono in carcere.
mi hanno chiesto se volevo aiutare i ragazzi dai 18 ai 25 anni, io ho accettato volentieri. è bello aiutare qualcuno che come te ha fatto quell'esperienza, sai come aiutarlo e come si sente, quindi puoi capirlo.
Ora mi sento meglio sapendo che faccio qualcosa per qualcuno,  aiuto i ragazzi e aiuto me stesso.
27 Silvia Ciprelli classe 3 sez.A

Lucy era lì, in sala d'attesa, aspettando di vedere me, l'unica
persona che ormai le era rimasta nella vita. Era cresciuta molto
dall'ultima volta che l'avevo vista, aveva lunghi capelli biondi,
occhi azzurri, era una ragazza solare e molto forte. La prima volta
che la vidi, aveva pochi mesi e io all'incirca sedici anni, era la
figlia di mio fratello maggiore, Benny, morto a causa di un incidente
automobilistico insieme a sua moglie Sandy, pochi mesi dopo la nascita
della bambina.
Lucy, rimasta orfana, fu data in affidamento ai nonni materni.
Erano passati quindici lunghi anni da quel giorno, ed oggi era qui,
in carcere, per vedermi e per conoscere quella verità che aspettava da
tanto, troppo tempo. Quando era poco più di una bambina, le feci una
promessa, raggiunti i quindici anni avrebbe finalmente conosciuto la
motivazione della mia carcerazione, le avrei detto tutto.
Quando mi avvicinai la vidi seduta, un vetro ci separava, mi vide, il
suo sguardo era sorpreso avevo la sensazione che non mi riconoscesse
però mi disse:”Zio, ho aspettato a lungo ma ora finalmente potrò
sapere tutto”. Ero molto intimorito perché avevo paura di deluderla,
paura di essere giudicato da lei che ormai era la mia ancora di
salvezza. In tutti quegli anni passati in carcere,lei era sempre
stata il mio unico pensiero; non avere avuto la possibilità di vederla
crescere era il chiodo fisso che mi aveva logorato per tutti i
quindici anni di reclusione. Avevo un nodo in gola, e con una
tristezza infinita cominciai a spiegarle tutto dal principio:” Come tu
ben sai, dopo la morte dei tuoi genitori, i nonni non sono più
riusciti a risollevarsi, non riuscivano ad accettare quello che era
successo, non mi parlavano più, sembravano non ascoltare ciò che io
avevo da dire, alcune volte pensavo anche che loro avrebbero preferito
che fossi stato al posto di Benny”, in quel momento, vidi gli occhi di
Lucy già lucidi, anche lei aveva sofferto, era cresciuta con i
genitori di Sandy che le avevano sempre dato tutto, ma la mia famiglia
non c'era, i miei erano troppo impegnati a soffrire piuttosto che
cercare una via di scampo negli occhi di quella bambina indifesa e
bisognosa di amore. Loro non l'avevano mai completamente accettata,
anzi davano a lei la colpa di quello che era accaduto. Infatti il
giorno dell'incidente, Lucy stava male, aveva la febbre altissima e i
suoi genitori cercando di portarla in ospedale in tempo avevano
iniziato una folle corsa sulle strade ghiacciate, Benny non riuscì a
frenare in tempo quando un camion aveva invaso la loro corsia, non ci
fu niente da fare, l'unica superstite fu proprio Lucy, che riuscì
miracolosamente a sopravvivere. Continuai il mio racconto cercando un
po' di conforto nello sguardo di Lucy: ”Avevo solo sedici anni, mi
sentivo completamente escluso e questo mi portò a compiere alcuni
piccoli furti” mi fermai vedendo l'espressione di Lucy che mi chiese:”
che genere di furti?”. Io sbiancai, non sapevo cosa dirle, così
ripensai rapidamente alla mia adolescenza, il mio sguardo era perso
nel vuoto, tutti quegli sbagli fatti da ragazzo, mi erano costati metà
della mia vita. “Cominciai quasi per gioco, volevo sentirmi importante,
così un giorno andai in paese assieme al mio cane Lorex, vidi passare
una vecchiette che rimase pietrificata alla vista del cane e io in un
istante le presi la borsetta e cominciai a correre, la feci franca, mi
sentivo forte, così continuai e ogni volta azzardavo un po' di più, era
tutto così semplice, riuscivo ad avere tanti soldi senza il minimo
sforzo. Il mio sogno era quello di diventare ricco, molto ricco, in
questo modo avrei potuto prendermi cura di te, farti studiare nelle
migliori scuole, non ti avrei fatto mancare nulla, saresti stata la
figlia che non avevo mai avuto.
Cominciai così a pianificare il colpo grosso. Decisi di rapinare una
banca. Mio padre, essendo stato un carabiniere, aveva una pistola che
custodiva gelosamente nel cassetto della scrivania, prenderla fu un
gioco da ragazzi. Con un passamontagna nella tasca del mio giubbotto
mi avviai, e quando arrivai non esitai a tirar fuori la pistola e la
puntai alla testa del commesso che impaurito cominciò a riempire un
sacchetto con tutti i soldi custoditi nella cassaforte. Pensavo di
avercela fatta, uscii dalla banca con l'adrenalina che mi correva
in tutto il corpo, salii in macchina e cominciai a fuggire, fu in
quel momento che mi accorsi di avere dietro di me la polizia che a
sirene spiegate mi stava raggiungendo. Per loro non fu difficile
acciuffarmi, in fondo ero solo un ragazzo , il resto
della storia lo conosci già.. dopo aver fatto due anni in un
riformatorio sono stato trasferito in un carcere vero e proprio, qui
ho vissuto gli anni più brutti di tutta la mia vita. La mia piccola
cella, gelida durante l'inverno e bollente in estate, era la mia casa;
ho avuto compagni di cella ai quali mi sono legato e altri invece con
cui non riuscivo neanche a parlare. Questa brutta esperienza però è
servita a farmi capire tutti gli errori che ho fatto e la mia unica
speranza in tutti questi anni è stata quella di poterti riabbracciare
e di ricevere il tuo perdono.”. Non riuscivo a decifrare lo sguardo di
Lucy, mi guardava senza proferire una parola, io aspettai …..... Lucy
disse: ”In tutti questi anni anch'io ho pensato tanto a te, a volte ero
impaziente di poterti riabbracciare, altre invece ti odiavo profondamente
per non essere stato al mio fianco. Ora so tutto e devo comprendere dentro
di me quello che provo nei tuoi confronti. Adesso sono confusa,
non ho la lucidità per capire tutte le emozioni che sto
provando, tu comunque fra meno di un mese sarai libero, io mi prenderò
questo tempo per riflettere e cercare le risposte che ancora non ho.
Quando uscirai da qui, se sarò pronta, sarò fuori ad aspettarti per cominciare
a vivere la mia vita con te”. Avevo di fronte una ragazza matura, non era più
la bambina che avevo lasciato. I miei occhi si riempirono di lacrime e
il mio cuore batteva nel petto come un cavallo imbizzarrito, dovevo
pazientare ancora per un mese, ma ero fiducioso, ero pronto a
ricominciare una nuova vita.
28. Manuel CaramicoUn veterano di guerra
Mi chiamo Fabio Belinsky e sono un veterano di guerra, ho 67 anni e sono sopravvissuto alla seconda guerra mondiale quando avevo 17 anni mio padre, Francesco Belinsky, è stato assassinato da due soldati tedeschi.
Mentre ero in un ospedale da campo per aver preso una pallottola di pistola nella gamba, me lo ha comunicato mia sorella per lettera, che mi hanno consegnato dopo l’operazione al ginocchio. Ho pianto molto, ma poi ho ricordato che mio padre aveva il cancro e quindi sarebbe morto lo stesso, quindi, sarebbe morto lo stesso, però non avrebbero dovuto ucciderlo prima del dovuto, se proprio doveva morire, volevo che morisse insieme a me, e non assassinato.
Uno dei due soldati tedeschi è sopravvissuto alla guerra, ma per vendicare mio padre, ho ucciso lui e sua moglie mettendo una bomba al C4 sotto la macchina, ho aspettato e l’ho fatta esplodere, mi hanno dato 9 anni, i primi 6 anni li ho passati a Regina Coeli, lì erano tutti “semplici delinquenti” , sapevano che io sono stato in guerra ed ho ucciso più di un centinaio di persone, mi trattavano come un Dio perché sapevano che non potevano competere con me.
Alla fine mi hanno trasferito a Rebibbia perché davo sempre problemi con gli altri detenuti. A Rebibbia erano tutti più un po’ più “criminali” e ci guardavamo le spalle a vicenda.
Stavamo diventando amici, ma poi ne arrivò un altro, si credeva forte.
Dopo che sono uscito ho saputo che Theo, il mio migliore amico, gli aveva rotto una gamba, mi sono chiuso in casa ed ho iniziato a leggere libri. Poi mi sono trasferito negli U.S.A. ed ho combattuto per 4 anni in Vietnam, mi sono ritirato ed ora sono qui, da solo.
 29.       LA MIA VITA IN CARCERE                                
Mi chiamo Federico Codognotto e sono stato in carcere a 25 anni perché mi hanno arrestato mentre rapinavo una banca. Era un colpo ben organizzato ma hanno sparato alla gamba del mio compagno che faceva la parte più importante: coprire la porta sul retro  quindi gli sbirri sono entrati da li, ci hanno storditi e arrestati. La corte ci diede 20 anni di galera e poi agli arresti domiciliari.
All’inizio ci portarono al di Regina Coeli e poi mi trasferirono solo a me al carcere di
Re Bibbia. Era la prima volta che andavo in galera. Appena sono entrato tutti mi guardavano male come per dire : adesso ti ammazzo. Erano tutti più grandi di me e probabilmente non era la prima volta che stavano li. Mi mandarono in una cella vicino a un mafioso che da quello che ho capito ha  ammazzato più di 100 persone .
Alla mensa ci davano sempre la stessa cosa :una ciotola di minestra , pane e acqua. Dopo qualche mese arrivò un tizio alto, grosso e con lo sguardo da assassino .
A mensa un detenuto per sbaglio gli fece cadere dell’acqua addosso , lui tirò fuori il coltello e lo ammazzò. Lo portarono in un altro carcere e credo che sia ancora li.
Da quell’avvenimento progettai una fuga perché temevo che potesse capitare anche a me. Il piano era di chiamare una guardi vicino alla cella stordirlo rubargli le chiavi e i vestiti poi fuggire . Il piano funzionò. Uscii dalla prigione dicendo che dovevo andare a casa perché mio figlio stava male e mia moglie non c’era e mi fecero uscire . Però qualcuno deve essersi accorto del cadavere perché degli sbirri mi stavano rincorrendo, io imbucai una vietta e naturalmente era un vicolo cieco, mi puntarono la pistola e in quel momento pensai che sarei morto, ma per fortuna non mi spararono ma mi fecero svenire a forza di manganellate.
Quando ripresi i sensi mi trovavo in una cella di circa  5m quadrati  insieme ad altri due carcerati. Uno mi chiese come mi chiamavo e che cosa avevo fatto per andare in carcere, gli risposi che prima avevo tentato un colpo in banca e poi ero fuggito di prigione e mi avevano preso, gli feci pure io la stessa domanda  e mi rispose che uccise quello che aveva ammazzato suo padre e come si chiamava: Andrea. Mi disse anche di stare attento a l’altro compagno di cella che se gli andava mi poteva uccidere.
La corte mi diede altri cinque anni di galera quindi me ne mancavano altri ventiquattro
anni. Per tutto quel tempo non presi iniziative pericolose (ad esempio scappare di prigione) anche se stavo iniziando a dare di matto perché era sempre la stessa monotonia. Ora invece mi sono ripreso ho una moglie e un figlio e non commetterò mai più un crimine perché non voglio finire di nuovo in quella follia.   
30. Francesca Mallqui, LA VITA è COSì
Ciao mi chiamo Serena e ho 16 anni e sono qui in carcere per colpa dei miei amici e ora vi racconterò come è andata e com’è stare qui.
Un giovedì di ottobre noi ragazze e ragazzi eravamo a scuola come tutti i giorni, io e le mie amiche dopo la scuola ci saremmo incontrate per uscire per il paese, ma quello stesso giorno le miei amiche mi dissero che non sarebbero venute,tranne la mia B.F.F. Giulia e lei mi disse che sarebbero venuti, ovviamente, i miei stupidi amici Giacomo e Leonardo.
Io e Giulia dopo esser uscite da scuola siamo andati al bar di suo zio Pietro, lui era molto gentile con noi, infatti alcune volte ci regalava un sacco di cose caramelle, cornetti, ciambelle... I maschi erano andati alla pizzeria “BUON APPETITO”, andavano sempre lì a mangiare perché la proprietaria era molto anziana e quindi loro si fregavano le cose e poi correvano, come tutti i ragazzi  di quindici anni.  Noi femmine dopo aver finito di mangiare eravamo andati al parchetto dove noi andavamo sempre, ma oggi non c’era un’ anima, io avevo paura, ma Giulia mi disse di pensare ad un’altra cosa e di lasciarmi andare io gli diedi retta.
 Giulia era una ragazza tutto pepe, lei per me era la perfezione, era simpatica, dolce, carina, intelligente …  Dopo che io mi ero quasi uccisa con lo scivolo, vennero Giacomo e Leonardo, io gli salutai e loro mi ricambiarono il saluto. Ci eravamo messi tutte e quattro a parlare sul “girello” quando ad un certo punto Giulia e Giacomo si misero a litigare, il motivo non lo so, ma si stavano dicendo cose davvero brutte che non avrei mai pensato che sarebbero uscite certe parole dalla bocca di Giulia, io mi stavo cominciando a spaventare e ad un certo punto Giacomo tirò fuori la pistola e cominciò a minacciarla di morte, io mi alzai molto in fretta, ma non feci in tempo che, BOOOOOOOOOH!!! Sparò, io mi bloccai non seppi più che fare, la mia migliora amica era morta, Giacomo e Leonardo si misero subito a correre più veloce della luce. Io rimasi lì a guardarla nei suoi ultimi momenti, chiamai la polizia e vennero subito, ma era troppo tardi, lei era morta, la cosa brutta e che avrebbero dato la colpa a me perché ero stata io a toccare l’ arma dell’omicidio quindi corsi più che potevo prima che se ne accorgessero e mi nascosi per il centro storico, nel bosco, non sapevo più che fare. Mi nascosi lì una settimana, ma alla fine mi trovarono, mi portarono in una stanza, io piangevo, non sapevo più cosa fare, dopo 20 minuti venne un signore che mi face un botto di domande io risposi con sincerità, ma nessuno mi credeva. Mi portarono in un posto da fuori sembrava una casa dell’orrore, per me era la prima volta che vedevo una cosa del genere era tutta sporca, nera, piena di ragnatele, io stavo morendo di paura, ma continuai a comminare ed entrai. La prigione era piena di ragazze che mi strillavano contro, che mi dicevano parolacce, io piangevo tantissimo, mi misero in una cella, più o meno grande come un bagno piccolo. Dal quel giorno non ho cambiato più cella neanche la mia compagna di stanza, Niky, anche a lei è successa la stessa cosa mia è l’ unica ragazza simpatica, ma non così simpatica come Giulia, lei rimarrà  sempre nel mio cuore.  Il cibo qua fa schifo, ma almeno ho qualcosa da mangiare, i vestiti sono orrendi sono arancioni e scomodi, le ragazze sono antipaticissime, brutte e mi danno sempre fastidio, io sto qui da un ’anno me ne mancano ancora 3 e io ho solo 16 anni e io non dovrei essere qui, ci dovrebbero essere Giacomo e Leonardo, ma perché la vita è così.

31. ANONIMO
Oggi sono due anni che sono uscita dal carcere, ci ero finita perché ero stata complice di un omicidio, commesso da Agnese. Era il 18 aprile  2006, eravamo ad una festa di vecchi compagni di scuola. Io e Agnese andammo insieme, vedemmo tanti vecchi compagni che non vedevamo da tantissimi anni, notai che c'era anche Alessandra, la "nemica" di Agnese, ma lei non se fortunatamente non se ne era ancora accorta.
Era l'una di notte e erano tutti ubriachi e c'era anche chi se ne stava andando, come Alessandra. Agnese se ne accorse, mi prese per il braccio e seguimmo Alessandra, ancora non capivo che volesse fare ma notai che in mano aveva un coltello, le domandai che volesse fare e lei mi rispose che voleva dare una lezione ad Alessandra, io pensai che aveva ragione perché lei aveva sempre trattato male Agnese. Arrivammo ad Alessandra, Agnese le tirò un calcio e la buttò per terra, Alessandra si mise ad urlare cosi Agnese l'accoltellò sul collo e morì.
Scappammo e ci nascondemmo, ma i sospetti caddero subito su di noi infatti dopo due mesi la polizia ci trovò e ci portò in commissariato dove confessammo l'omicidio.
32. Aurora, ‘’La festa’’
Mi chiamo Aurora, ho 32 anni, oggi sono due anni che sono uscita dal carcere dopo 12 anni passati lì dentro.
Il 18 aprile 1987, stavamo festeggiando il compleanno di una amica, Agnese. C’erano molti amici che non vedevo da molto tempo: Beatrice era diventata un atleta, Francesca un chirurgo e maria una veterinaria. Arrivate lì, io e Agnese abbiamo visto che francesca si era sposata con Federico, il ragazza che le piaceva fin dalle medie, verso le nove eravamo tutti e iniziammo a mangiare, ma mentre mangiavamo arrivò Alice era in compagnia di Michele, il suo fidanzato.
Alice ai tempi delle medie stava antipatica ad Agnese. Salutammo Michele e andammo a mangiare. Dopo cena erano tutti ubriachi soprattutto Agnese che appena vide che Alice e Michele andarsene, mi portò con sé e mi disse di seguirli, quando mi accorsi che in mano aveva una pistola era troppo tardi perché avevamo raggiunto Alice e Michele, che in un colpo secco ammazzò, rimase solo Alice, lei urlò e Agnese le tirò un calcio e la buttò per terra,io ero immobile e dopo altri calci le sparò un pallottola in testa e Alice morì.Riuscimmo a nasconderci per due mesi, ma poi la polizia ci trovò, ci portò in commissariato dove confessammo l’omicidio.
33. Rucci Andrea, UNA STORIA DA DIMENTICARE
Fu in quel giorno, 16 marzo 1989, che la mia vita non fu più la stessa.
I poliziotti ci beccarono nel bel mezzo di una rapina in banca.
Ero con tre dei miei migliori amici: Franco ma tutti lo chiamano “er Faccia Tosta”, lui era già stato in prigione accusato di traffico di anfetamine.
Poi c’era Fabio, ma tutti lo chiamano “er Leone”, non ha paura di niente, anche lui è stato dentro svariate volte, per furti vari.
Ed infine c’è il grande Antonio che abita tutt’ora in un quartiere di Roma poco raccomandabile: San Basilio.
Tutti e quattro disperati, senza soldi e senza lavoro per cui la nostra rapina doveva andare a segno a tutti i costi.
Purtroppo si rivelò un fallimento.
Entrammo in quella banca tutti a mano armata e con il volto coperto; il colpo era quasi riuscito quando la cassiera suonò all’ultimo istante l’allarme interno,  non ce ne accorgemmo affatto e così la polizia era già fuori ad aspettarci.
Ci intimò l’alt, ci ordinò di gettare le armi a terra e alzare le mani.
Ci misero le manette e ci portarono nel carcere di Regina Coeli.
Ci ritrovammo tutti e quattro in una cella triste e desolata ma Fabio e Franco erano già abituati a questa realtà, al contrario di me ed Antonio che per noi era un mondo nuovo.
Con il passare dei giorni cominciammo a conoscere tutti i detenuti del nostro braccio, si trattava di gente non pericolosa ma che aveva commesso reati abbastanza lievi e non omicidi.
Durante l’ora di pausa, in cortile con tutti gli altri detenuti, ci fecero notare uno degli ultimi arrivati, un ragazzo molto giovane ma anche molto pericoloso, aveva commesso due omicidi.
Non si conosceva la sua storia ma tutti lo tenevano distante.
Il mio amico Fabio detto “Leone” decise di conoscerlo per inserirlo nel nostro gruppo, ma dopo pochi minuti di conversazione, scoppiò una lite fra i due, non so quale fosse il motivo ma il tipo era molto violento e rabbioso che bastò poco che gli “partì di capoccia” e noi intervenimmo subito per dividerli.
Scoppiò allora una grande rissa e ci portarono tutti in ospedale.
Le ferite erano così  profonde che ci restammo per due settimane, sempre sorvegliati da poliziotti armati.
Alla fine rientrammo in carcere e ci misero in isolamento per un mese: lì è stata veramente tosta sopravvivere tutti quei giorni al buio più completo senza alcun contatto con il mondo esterno.
Questa terribile avventura si concluse con tre anni di reclusione in un braccio di massima sicurezza a scontare la nostra condanna ed a riflettere sugli errori commessi.
34.   Yvan SeguinaudL’ esplosione
Il dottor Mattarelli mi ha consigliato di scrivere appunti, e quindi eccoci qua. Il mio primo crimine è stato di scoppiare una bomba in una banca. E sono stato in carcere dal 1918 al 1930 e all’epoca avevo 18 anni. Il mio secondo crimine  è stato di uccidere la mia ex ragazza perché mi ha aveva tradito con un altro e ovviamente ho ucciso pure lui con un fucile. Vi racconterò il mio crimine: eravamo poveri e ovviamente ci servivano dei soldi.  Io ero bravo in chimica e ho fatto una bomba chimica, e cosi questa arma potente far esplodere la cassaforte della banca. E così mi hanno sgamato davanti alla cassaforte esplosa, e io dissi ”al diavolo il mio piano”. E così mi hanno messo in carcere . E così poi mi sono un po’ bene, perché mi sono fatto degli amici.                                                      Ma la cosa più triste e che mio padre è stato ucciso da alcuni mafiosi. Ed è tutta colpa mia, se io non avessi fatto esplodere la bomba chimica e i soldi dei mafiosi mio padre non sarebbe morto. E per colpa mia ho rovinato la mia vita e quella di altri innocenti.
 35. Zannetti Ludovico, Rapina a caro prezzo       
Sono Carmine Rossi, ho trentotto anni, mi trovo al carcere Regina Margherita Coeli di Roma, sono al 7.200 giorno e, solo ora, a poco più di cento giorni dal mio rilascio, ho pensato di scrivere la storia della mia vita. (perché qui dentro non si fa niente)
Sono nato a Roma il 18 Maggio 1947, da una famiglia molto povera, mio padre faceva il contadino e mia madre la sarta, avevo un fratello che, però, morì a dodici anni.
Io sono sempre stato attaccato a mio padre e, d’estate, andavo con lui a lavorare i campi e ogni volta mi diceva:
“Non limitarti mai, cerca sempre di migliorare, in ogni cosa e realizza i tuoi sogni”.
Mia madre era molto più attaccata a mio fratello e, quando egli morì si uccise per disperazione.
All’età di 70 anni mio padre morì, io avevo 17 anni, non avevo niente e così andai a rubare in una banca, avevo una pistola che mi diede mio padre, la “beretta m9”, quella pistola mi ha salvato la vita, ecco come è andata:
Eravamo in tre: io e due ragazzi che lavoravano per mio padre, anche loro molto poveri.
Entrati in banca, io e uno dei miei due amici abbiamo iniziato a sparare e l’altro è andato alle casse a prendere i soldi, era un colpo perfetto fino a quando una cassiera ha chiamato la polizia, è stata una tragedia, cinque poliziotti entrarono di colpo dentro la banca e iniziarono a sparare colpendo i miei amici che, in una pozza di sangue giacevano per terra, io, con la mia pistola mi difesi e scappai con i soldi ma mi spararono in una gamba, sanguinavo!, sanguinavo!, per la prima volta capii che cosa significasse la parola soffrire, era un’emozione fortissima, avevo paura di morire.
Due tipi scuri in volto mi presero e mi trascinarono dentro ad un furgone per poi portarmi in pronto soccorso dove mi addormentarono.
Quando mi risvegliai avevo un forte mal di testa, mi trovavo in una cella grande più o meno 9 metri quadrati, era molto sporca, sui muri vi erano scritte delle frasi sconce con disegnini altrettanto scurrili, al lato della stanza c’era un lettino con una piccola scrivania (dove sto scrivendo io ora), poi, sul lettino trovai un foglio di carta dove c’era scritto:
“Questo è un inferno, non vi è modo di scappare.”  E poi sotto: “ VIVA LA MAFIA!!!!”
Una volta finito di leggere quel biglietto lo presi e lo strappai in mille pezzi, poi, mi sdraiai sul letto e mi addormentai.
Dopo un paio d’ore un fischio assordante mi svegliò e una voce rauca urlò:
“E’ ora di cena!!!”
Mi alzai e andai a mangiare, il cibo era pessimo, ma per la fame lo mangiai tutto senza storie, poi due ragazzi di circa venti anni si alzarono e iniziarono a picchiarsi come matti, schizzava sangue dappertutto, poi, per fortuna loro, intervenirono due poliziotti che li divederono.
Finita la cena andai in cella e mi misi a pensare, questa è l’altra realtà del mondo: gente che ruba (come ho fatto io), gente che molesta e, addirittura, gente che uccide, il carcere, dove anche i carcerieri menano e poi pretendono che i ragazzi, una volta usciti di li cambino la loro vita, invece no!, una volta usciti dal carcere i ragazzi pensano già al crimine che commetteranno per rientrarci, questo è il carcere che vedevo in tv, questa è la criminalità di cui mi parlava mio padre, e adesso ci ero entrato pure io, ero pure io un criminale.
36. Beatrice, UN’ESPERIENZA IN PRIGIONE
Il mio nome è Shara sono nata e vissuta a Parigi.
Un giorno ho visto un diamante da 10 carati e mi è venuta una grande voglia di averlo tra le mani, cosi lo rubai. Una signora mi aveva visto, era una testimone, ma le sparai e la buttai nel fiume. Scappai in lungo e in largo, ma la polizia mi cercava. Un giorno mi trovo e mi portò nella prigione più crudele della città. Mi misero nella cella di sicurezza con un’altra ragazza “Ginevra”. Aveva commesso un crimine molto grave: aveva ucciso il presidente di una società importante.
Ogni giorno ci davano un solo pasto e anche scarso : una minestra di non so che. Dopo tanto tempo neanche la minestra ci portavano, allora cominciammo a mangiare scarafaggi e lombrichi.
Un giorno, un biglietto anonimo, ci disse che il 25 Dicembre del 2043 ci avrebbero uccise tagliandoci  la  testa. Dovevamo scappare ma non sapevamo come.
Ginevra propose che dovevamo fare un gioco di squadra e cosi facemmo. Lei aveva chiamato le guardie e io avevo buttato loro la minestra sugli occhi. Insieme, con tutta la forza che avevamo, abbiamo dato un colpo alla porta ed essa cadde. Rubammo quattro fucili e ci buttammo su una barca che avevamo costruito mentre facevamo i lavori forzati e la nascondemmo in una radura. Eravamo diretti in America dove ci potevamo rifare una nuova vita.
All’improvviso mi hanno sparato alla gamba mentre stavamo fuggendo, ma Ginevra mi curò, posso dire che era una ragazza dalle mille risorse. Sbarcammo a “New York”, li si che saremmo diventate ragazze con la testa a posto ! Cosi iniziò una nuova vita. 
37. Damiano 1D
Un giorno d’estate mentre andavo in macchina un adulto mi passa davanti,  non riuscii a fermarmi e lo presi. Da quelgiorno  portai sempre quel rimorso dentro di me.
Quando i poliziotti  capirono che ero stato io, mi vennero a cercare e mi trovarono. Mi ero nascosto nella cantina di casa mia. Mi portarono in tribunale, tutti erano contro di me, mi condannarono a 7 anni di prigione da trascorrere in America sull’Isola del Diavolo. Le guardie appena vedevano qual cosa di strano, sparavano, e poi ci costringevano a fare i lavori forzati.  Un giorno ci condussero  in un lago a spostare  i tronchi che ostruivano il lago. Quel giorno stesso un uomo  uccise una guardia e cosi lo condannarono a morte. Il giorno seguente io feci una cosa che non si doveva fare e cosi  mi rinchiusero in una cella di isolamento, al buio senza niente da mangiare. Poi un  giorno si apri uno spiraglio dal muro e dal di fuori  un uomo che mi faceva arrivare del cibo. Lui si chiamava Macmillan, un contadino che aveva rubato i soldi da una banca, per questo era qui, poi mi dava acqua, pane e dei biglietti con scritto sopra delle cose.
Però poi un giorno giorno riuscii a scappare dalla cella di isolamento e dalla prigione,  trovai una barca sulla spiaggia e scappai su un’isola, ma li c’erano dei soldati indiani che purtroppo mi rispedirono in quella prigione.  Io però  ero stato furbo perché avevo preparato dei sacchi di noci di cocco . ne diedi una al mio amico mec millan e cosi ritornammo in Europa.

Commenti

  1. Il primo commento mi è arrivato da MAURIZIO
    07, 09, 11 e 14 mi sembra presentino degli elementi di interesse - non saprei dirti quale piu' degli altri...
    ...I rimanenti, invece, sono un termometro evidente della scarsa propensione alla lettura ed all'immaginazione di ragazzi il cui unico nutrimento letterario - oltre ad una distratta frequentazione scolastica, forse anche per via di insegnanti poco.motivati o poco capaci - sono tv ed internet.
    Questa la mia opinione.
    Maurizio.

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  2. A me son piaciuti tutti, conosco anche alcuni ragazzi e qualcuno ha attinto da esperienze familiari. Trovo che la Cantoni ha fatto un lavoro spettacolare, che siano scritti bene o male, poco importa...
    ********

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